Nel dibattito di Las Vegas, Donald Trump ha detto di andar fiero del sostegno della Nra, la lobby delle armi ed ha promesso di nominare alla corte suprema giudici che abolirebbero il diritto all’aborto. Quest’ultima in particolare è stata una rassicurazione diretta alla base teocon che negli ultimi tre decenni è diventata una componente fondamentale della destra ideologica americana.

Sin dalla fondazione da parte di fanatiche sette puritane espulse da Inghilterra e Olanda, la fede integralista è stata un pilastro nazionale al pari dell’impresa mercantile delle concessioni commerciali delle colonie. Dopo la rivoluzione “illuminista” del 1776 il fondamentalismo cristiano, rimarrà una caratteristica profonda dell’esperimento americano, con la libertà di religione codificata nella costituzione e una forte piega avventista e millenarista. Una vocazione severa e apocalittica, sempre in tensione con gli elementi razionalisti importati della rivoluzione francese. Una dicotomia che rimane al centro del discorso politico americano che vede tuttora la corte costituzionale esprimersi regolarmente su preghiera nelle scuole, simboli religiosi e le contraddizioni di una società ufficialmente laica e senza religione di stato ma che i sondaggi confermano sempre come la più intrisa di religione rispetto ad ogni altro paese occidentale. Ancora oggi si dice, con cognizione di causa, che sarebbe più facile diventare presidente per un omosessuale che per un ateo.

Le correnti fondamentaliste, affiorate in varie denominazioni (battisti, presbiteriani ecc.) all’inizio del ventesimo secolo come reazione al percepito eccessivo riformismo religioso, promuovono l’interpretazione letterale della Bibbia intesa come testo infallibile e una concezione teocratica dello stato.. È l’ossessione escatologica che le porta a vedere nella costituzione dello stato di Israele il prologo necessario alla profetizzata battaglia finale di Armageddon, località menzionata nel Libro dell’Apocalisse oggi localizzata in Tel Megiddo a una quindicina di chilometri da Nazareth. Il cosiddetto «sionismo cristiano» dipende in sostanza da un epilogo catastrofico in medio oriente, non sorprende dunque l’appassionato sostegno dei fondamentalisti evangelici al governo Netanyahu.

Ma è negli anni 80 che le sette evangeliche emergono come forza politica e zoccolo duro della destra repubblicana. Effetto della «Reagan revolution» che sancisce un alleanza operativa con formazioni come la Moral Majority di Jerry Falwell e la Christian Coalition di Pat Robertson, due tele-evangelisti che usano le prediche contro il «decadimento morale» per galvanizzare la base elettorale nelle crociate contro cultura gay, aborto, contraccezione, insegnamento della teoria dell’evoluzione.

Sono le culture wars strumentalizzate dal reaganismo e in seguito sempre più «scientificamente» dai neocon di era Bush, grazie a strateghi come Karl Rove che ne fanno il perno della strategia elettorale. Il maggiore successo teocon, oltre ai mandati Reagan e Bush, è stata la deriva reazionaria della corte suprema a cui accedono Clarence Thomas e Antonin Scalia entrambi legati agli ambienti evangelici e affidabili baluardi di conservatorismo integralista durante gli ultimi vent’anni. Si devono alla cultura evangelica l’inviolabilità del porto d’armi, pur nell’escalation di stragi e violenza, come anche l’abilitazione di «schegge impazzite» responsabili di omicidi di medici abortisti e attentati a consultori.

Ironicamente son proprio decenni di strumentalizzazione da parte dell’establishment repubblicano, le cui promesse elettorali agli evangelici vanno regolarmente disattese (il matrimonio gay è un esempio lampante), che portano alla crescente disillusione dei teocon, molti dei quali confluiscono prima nel Tea Party ed in seguito nel movimento populista di Trump. Il sostengo a Trump invero è anomalo. Culturalmente gli integralisti delle province hanno poco da spartire col miliardario libertino e pluridivorziato newyorchese. E nelle primarie la base aveva infatti adottato paladini come Mike Huckaby, Ted Cruz e Ben Carson.

Il sostegno degli evangelici a Trump dipende in parte dall’opposizione a priori a Hillary Clinton e tutto ciò che rappresenta. Ma esiste un affinità profonda fra le frange apocalittiche e la fosca distopia articolata da Trump. La sua visione intrisa di paura, di un paese in balia di bande di stranieri criminali, è una versione «laica» delle geremiadi lanciate dai pulpiti evangelici. L’affresco di una nazione eletta che ha voltato le spalle al sacro timore di dio e che per questo incorrerà nell’ira del creatore – o, eventualmente, di un condottiero da reality tv.