Quattordici nomination all’Oscar, una montagna di premi tra cui anche la Coppa Volpi per la migliore attrice alla sua protagonista, Emma Stone, «dibattiti» (sì, proprio quello, «il dibattito») accesi sui social tra entusiasti e detrattori, La La Land – da oggi nelle nostre sale – è un «film di culto». In effetti lo era già prima del trionfo nella corsa alle statuette, almeno dalla presentazione – in apertura e in concorso – alla scorsa Mostra del cinema di Venezia che conferma con questo film e con tutti gli altri presenti nelle cinquine dell’Academy (Gibson, Larrain) l’intelligenza della sue scelte nei confronti del cinema hollywoodiano e americano in genere. E lo era, «di culto», ancora prima visto il successo del precedente film di Damien Chazelle, il sado-jazz Whiplash.

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Omaggio a Hollywood e alla sua tradizione, al jazz di Charlie «Bird» Parker, al sentimento della vita con le sue «sliding doors» che basta un attimo, alla svagatezza fantasiosa dei cuori che fanno molti disastri (ma si rialzano con un sorriso).

Alla città delle stelle – e delle stars, Los Angeles, a Hollywood,ai suoi studios e tutto quello che ci ruota intorno: speranze e delusioni, melassa e cattiverie, feste e cocktail e promesse che scivolano via come il ghiaccio nel fondo del bicchiere. La La Land è la terra di musica e di sogni nella quale Chazelle si avventura per rivisitare un genere produttivamente complesso – e messo ormai da parte – come è il musical, gli indimenticabili tip tap amorosi delle grandi coppie danzanti – Ginger Rogers e Fred Astaire – anche se Chazelle nelle sue molte interviste cita più spesso Jacques Demy, rivedicando una dimensione artigianale, d’autore nel suo film che è prodotto dall’indipendente Lionsgate, girato in 35 millimetri, costruito guardando tutti insieme, attori e crew, i classici.

Lui e lei si scontrano, si incontrano, si innamorano, si lasciano. Il primo bacio potrebbe essere al cinema guardando Gioventù bruciata ma la pellicola si «fonde», così accadrà al Planetarium. Fuori Los Angeles sembra bellissima: «Ho visto di meglio» ride lei.

Mia (Emma Stone) fa la cameriera ma vuole diventare attrice. Davanti al bar negli studios dove lavora c’è la finestra di Casablanca, qualcosa di più che una casualità. Scrive anche commedie, one woman show, o almeno ci prova. E intanto passa da un provino all’altro, roba da serie tv, poliziotto, ragazza incazzata.

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Sebastian (Ryan Gosling) suona il piano. Vorrebbe aprire un club dove si fa del jazz, quello vero, ma non ha soldi e nemmeno un lavoro, gli resta solo la fama di essere «a pain in the ass», un gran rompicoglioni, pianista di piano bar che ignora la scaletta e lascia che le sue mani vengano rapite dall’improvvisazione.

Primavera, estate, autunno, inverno. I sentimenti seguono le stagioni, gioiosi sotto al sole, aggrovigliati nelle prime piogge. Ce la faremo a spiccare il volo e a realizzare i nostri sogni? – si chiedono i due ragazzi. Ma qualcosa va male, qualcosa corre troppo in avanti o troppo lenta, qualcosa spezza la fiducia e l’ostinazione. Fuggire via e provarci ancora. Insistere o rinunciare, tutto è una sfida qui anche l’amore.

Chazelle aveva in mente questo progetto da molto tempo – il suo esordio era già un musical in bianco e nero omaggio ai classici della Mgm . La La Land però non è permeato solo di nostalgia «vintage del passato. Stone e Gosling non sono Rogers e Astaire, i loro passi di danza appaiono a volte incerti, persino goffi (è la critica mossa da tanti cinefili). Poco importa.È anzi questa irriverenza che premia il film, la libertà impudente con cui Chazelle rivisita il genere senza paura dei propri limiti, con la fiducia nell’energia del cinema.

Nei sogni entra dunque il presente, le coreografie sono all’aperto, sotto al sole cocente e in mezzo al traffico impazzito losangelino (la sequenza inziale è un’esplosione di energia); un cellulare che squilla sospende l’incanto della canzone e, soprattutto, è la vita con la sua fragilità imprevedibile che irrompe nella storia e non concede «rewind» che si possono solo fantasticare, come un filmino super8 familiare.

Carriera e successo: cosa significano, quale è il prezzo da pagare, quali i compromessi. Uno sguardo, le dita scivolano delicate sul pianoforte, lei è già lontana, la promessa del grande amore è svanita, rimane solo una canzone le cui note si smorzano lente. E i sogni,? Sono fragili specie se devono fare i conti con l’industria che li fabbrica e con le sue regole, e se i sognatori rispondono a queste il confine tra ambizione e fantasia è davvero sfumatissimo.

C’è qualcosa di crudele anche qui che Chazelle dissemina in modo intelligente tra cieli stellati e slanci romantici, qualcosa che riguarda la differenza tra indipendenza e industria, lui e lei, la sostanze dai loro sogni. Il primo che rimane a ciò che voleva, la seconda che gli basta pochissimo per entrare in una stucchevole cartolina familiare da star system – marito noioso e una figlietta caramello inclusi – tornando al suo bar da diva. È il Grande Sogno compreso di un happy ending che, lo sappiamo, lieto non è quasi mai.