Quando pensiamo a un orto in città siamo portati a credere che si tratti di realtà circoscritte e limitate nello spazio, non solo per la penuria di aree verdi nei contesti urbani, ma soprattutto perché la città è simbolicamente in antitesi rispetto a ogni tipo d’attività agricola. Invece la grande presenza di orti urbani, frutteti comunitari, giardini aromatici, parchi a vocazione agricola e fattorie urbane ci dice che il fenomeno è ampiamente diffuso nelle nostre aree urbane.

COLTIVARE ALL’INTERNO DELLE AREE ABITATE è una costante nella storia umana, anche quando la città moderna si è ampliata intorno ai siti di natura industriale. E sono proprio le classi operaie a non voler tagliare il cordone con le proprie origini contadine e a garantire la continuità attraverso gli orti degli operai (jardin ouvrier nella versione francofona), poi evoluti negli attuali orti comunitari (community garden nella versione anglofona), aree verdi urbane destinate alla coltivazioni di orti, sotto forma di parcelle individuali o collettive, riservate agli abitanti del quartiere.
FARE L’ORTO IN CITTÀ ESPRIME IL BISOGNO di intervenire attivamente nello spazio fisico e sociale del proprio contesto abitativo. Progetti di natura sociale, di promozione di pratiche eco-sostenibili, per un’alimentazione sana e locale, di reinserimento socio-professionale, di riqualificazione di contesti urbani (non sempre avulsi da derive tese a giustificare progetti di speculazione edilizia), ma anche di promozione di pratiche capaci di reinventare i processi di partecipazione cittadina sono la ricetta del successo di questo fenomeno.

QUESTA RIVOLUZIONE SILENZIOSA RECLAMA il diritto al verde urbano. Non si tratta dell’ultima moda del momento ma di una richiesta di un nuovo modo di abitare i contesti urbani. L’agricoltura urbana è un fenomeno complesso ed eterogeneo, di portata mondiale, solo apparentemente in antitesi rispetto alle attività propriamente urbane. In molte metropoli dell’Africa e del continente americano, l’orto urbano è parte integrante del paesaggio urbano. In alcune delle ricche città occidentali l’agricoltura urbana rappresenta una solida realtà sociale, in alcuni casi anche economica.

SECONDO I DATI DELLA FAO, NELLE METROPOLI AFRICANE sub-sahariane un quarto della produzione alimentare proviene dall’agricoltura urbana. Un fenomeno diffuso anche nelle ricche città occidentali e non solo per la capacità dell’orto urbano di veicolare attività educative e sociali. A Montréal, in Canada, l’università locale ha istituito un laboratorio di ricerca per monitorare il fenomeno e, da circa un decennio, un corso estivo (Ecole d’été d’agriculture urbaine) che attira studenti da tutto il mondo. A Bruxelles, all’ombra delle istituzioni europee, intorno all’agricoltura urbana si sta sviluppando un vero e proprio indotto economico. Sarebbero circa 500 i contadini urbani attivi nella capitale europea e l’amministrazione pubblica finanzia un programma che mira all’autosufficienza agricola, pari a un terzo del fabbisogno cittadino per il 2035. A Detroit, negli Stati uniti, l’orto urbano ha garantito il fabbisogno alimentare a quanti avevano perso il posto di lavoro con la crisi dell’indotto automobilistico.

IN ITALIA FRA I PROGETTI PIÙ CELEBRI non si possono non menzionare «gli orti degli anziani» della regione Emilia Romagna, un’iniziativa che nasce agli inizi degli anni ‘80 con lo scopo di valorizzare la terza età attraverso la creazione di attività sociali e ricreative. Sempre a Bologna un progetto cooperativo decisamente più recente, Arvaia, si muove nella direzione della produzione partecipata del proprio cesto di verdure, in linea con altre realtà del nord Europa e del nord America. Non mancano naturalmente gli orti comunitari in aree d’occupazione temporanea tese a sensibilizzare sui temi dell’agricoltura sostenibile, come nel caso dell’orto dell’ex asilo Filangieri di Napoli.

Coltivando il proprio fabbisogno alimentare (o parte di esso), un contesto urbano sviluppa il proprio carattere resiliente promuovendo forme d’economia più virtuose e rispettose dell’ambiente. Ad essere coltivati sono i naturali rapporti umani ed il sentimento d’appartenenza di una comunità ad un territorio dato, sviluppando un’identità collettiva e la cittadinanza attiva. Il cittadino urbano impegnato nella cura dell’orto urbano impara a padroneggiare conoscenze semplici quanto ancestrali, come la stagionalità delle verdure, oggi messe a dura prova da scaffali tracotanti di prodotti di ogni stagione e di ogni latitudine. Egli riscopre il piacere di assaporare la qualità del cibo di prossimità, con un occhio attento alla (giusta) retribuzione del contadino.

COME AFFERMANO MOLTI ESPERTI, le nostre società saranno sempre più urbanizzate e il ruolo dell’agricoltura urbana si impone come strategico per la sua capacità di generare benefici ambientali, sociali ed economici. Le esperienze d’agricoltura urbana offrono l’occasione ai cittadini urbani d’entrare in contatto con la dimensione rurale, generando spesso un’interesse che spinge molti di essi a lasciare il contesto urbano nel tentativo di creare opportunità occupazionali in contesti rurali. E fra essi non mancano quei giovani, magari originari del sud Italia e con una laurea in tasca difficile da spendere sul mercato del lavoro, disposti a prendere in gestione i terreni di famiglia (spesso abbandonati) per riconvertirli a una produzione di natura biologica.

ALCUNI STUDI MOSTRANO CHE SIAMO IN PRESENZA di un esodo con dati sicuramente irrilevanti dal punto di vista statistico, ma significativi sul piano simbolico. Sono spesso giovani adulti che dopo aver trovato nella sperimentazione della pratica agricola urbana una particolare forma di praticantato, nonché l’ispirazione ideologica e politica, sono poi disposti a dar vita a nuove forme di agricoltura anche in ambito rurale.