Trabocca di cocozze napoletane, di piennuli sorrentini, melenzane, cetrioli, sedano gigante, prezzemolo ed ogni aromatica possibile, profuma di mare e di sole, custodito da un baldanzoso e fiero cane di nome Leone, lì, sui tetti antichi nel cuore di Procida, in Largo Castello al 12, dentro Terra Murata, progettato, custodito, rinnovato dal signor Vittorio.

E cos’ha di particolare quest’orto da meritare da esser decantato? Nulla, solo che questo è un orto pensile, uno dei pochi sopravvissuti alle ristrutturazioni, un grande ed esteso orto pensile, un vero orto di necessità, quindi autentico orto di pace, che si sviluppa al termine di tetti e di soffitte, di terrazze e di volte a botte alla saracena srotolandosi, letteralmente, sulla piccola casba procidana.

Il signor Vittorio è il degno erede di una grande tradizione marinara, se si parla con lui ti apre il cuore e ti consegna, poco alla volta, le sue storie.Vittorio con i suoi capelli bianchi adora raccontare, ma si apre poco alla volta. Per intanto è il nipote di Ramunno, grande lupo di mare dei tempi in cui si girava il mondo a vela, i procidani sono una stirpe di marinai e procidano era il capitano del Rex, per esempio. Ramunno, questo suo avo, ufficiale e marinaio istruito, ebbe svariate peripezie tra soggiorni a Londra, diversi peripli del globo, naufragi ed anche portò a compimento il salvataggio di membri della famiglia reale britannica, cosa, questa, che gli arrecò in dono due candelabri in argento direttamente dalla Regina Vittoria. Si possono vedere, custoditi presso una chiesa lì vicino, donati da Ramunno. E l’orto? L’orto sui tetti del signor Vittorio digradante di tetto in tetto, in vasche e vasoni, in vecchi mastelli, in botti e recipienti di ogni provenienza, è un orto come ce n’erano tanti nelle campagne del sud, orti fatti per mangiare e per odorare, orti fatti per cogliere un crisantemo da portare al cimitero, un garofano per l’innamorata, orti tutti diversi, senza eccezione alcuna, belli e necessari. Questo è speciale perché c’è una canzone napoletano antica, pluricentenaria – Michelemmà si chiama – parla di una scarola che è nata in mezzo al mare, pure li Turchi ci vanno a riposare, e questa scarola in mezzo al mare altri non è che un veliero che la lontananza, la fantasia dipinge come una bella e fiorita brassica, una scarola con tutte le foglie spiegate
I procidani sono stati grandi marinai ed orticoltori, quest’isola era il verziere di Napoli e la mattina solcavano il golfo con le loro scarolelle ed andavano a vendere, fino agli anni ’50, ogni genere di frutta e verdura e, peculiarità isolana, conigli vivi che allevavano in fossa. Amici miei posseggono un notevole appezzamento sull’isola, un bellissimo agrumeto. Al mattino, se cammini a piedi nudi, ti bagni, una rugiada costante, frutto della escursione marina, imbeve la vegetazione. E si vede, nei cortili prosperano gelsomini e passiflore, le bouganville, qualunque essenza erompe per ogni dove. E’ a Ramunno, al signor Vittorio che su di lui mi ha edotto, mostrandomi preziosi e antichi manoscritti, che voglio dedicare questo scritto sugli orti procidani, e immagino un veliero che navighi con l’albero della nave che sia un albero vero e dalle sartie, come l’orto sul tetto, la piccola ziqqurat procidana, pendano grappoli d’uva e pomodori, zucche e fagiolini e si attorciglino all’ancora cetrioli rampicanti. Un veliero di pace, che sfidi le tempeste della guerra e della fame. Arrivederci, isola di Arturo, tre trilli di fischietto, capitano!