Secondo alcune credenze che hanno resistito ai secoli, il suo grasso è un portentoso unguento terapeutico. Fa ricrescere i capelli, dice Ildegarda, ma soprattutto «infiamma di desiderio carnale»: per questo, è stato venduto come «medicina» in tutte le farmacie d’Europa fino all’Ottocento. Secondo altre superstizioni, nel suo corpo si nasconde un demone che induce alla pazzia, da cui sarebbe bene tenersi alla lontana, oppure esorcizzare con l’uso di maschere ad hoc. In antiche mitologie, è un amante famelico, pronto a rapire fanciulle in fiore, fornicatore indefesso (anche un autore come Puskin in Eugenio Onegin lo descrive come un approfittatore che fa sparire nel bosco Tatiana, una volta che la ragazza ha perso i sensi); in altre ancora, è un ventre caldo, enorme, materno, nel quale rifugiarsi e imparare a sognare di nuovo, dopo lo shock della nascita. Se poi si alzano gli occhi al cielo, nelle notti stellate d’estate, non sarà difficile incontrare questo animale in una costellazione al femminile. «Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea / Tornare ancor per uso a contemplarvi /Sul paterno giardino scintillanti, /E ragionar con voi dalle finestre / Di questo albergo ove abitai fanciullo, /E delle gioie mie vidi la fine», scriveva un malinconico Leopardi, posseduto dai ricordi.

Magico, stregonesco, dalla forza possente, rappresentante della natura più selvaggia e misteriosa, l’orso da millenni accompagna l’uomo, viaggiando a metà strada fra le nuvole e la terra. Questo mammifero plantigrado umanizzato da Disney, divenuto l’oggetto transizionale per eccellenza con Winnicott nella sua versione in peluche e reso terrificante dal cinema dei molti Grizzly (avrà comunque un riscatto «buonista» con il film Paddington che presenterà il british bear, protagonista della letteratura per bambini, nei libri scritti da Michael Bond) può essere considerato come una delle belve più amate dai Romani. Il Colosseo, l’anfiteatro dove si svolgevano imponenti giochi gladiatori, è costellato di ossa ursine, testimonianza di un massacro «ludico» di grandi dimensioni. Non va dimenticato, inoiltre, che l’orso – fra i primi abitatori dell’arte nelle caverne preistoriche – è stato anche una presenza abituale dell’Europa pre-industriale: da sempre, ha camminato e danzato per le piazze del mondo insieme agli zingari e ai circensi. Se nelle storie dell’Altomedioevo ha poi diviso la scena con il lupo e il leone dei santi, in seguito verrà «domato» e sarà la star indiscussa delle migrazioni miste (da Bulgaria, Romania, Serbia), quelle composte da animali e uomini. Diventerà vittima di un dressage spietato, ma manterrà intatta la sua identità di girovago e vagabondo a pieno diritto, essere mutante capace di portare fra le case di contadini e poveri cenciosi i «turpia joca». Gli orsanti in Italia, provenienti per la maggior parte dalla zona dell’Appenino ligure-emiliano, hanno rappresentato una tradizione importante, con intere generazioni di famiglie che si sono trasmesse il sapere degli animali. C’è anche un Museo a loro dedicato, in quel di Compiano (provincia di Parma), voluto fortemente da Maria Teresa Alpi, l’«ultima degli orsanti», come si è sempre definita lei stessa.

L’avvincente storia di questo peloso mammifero dalle goffe eppure scattanti movenze è il soggetto unico e prismatico del libro godibilissimo scritto dall’antropologo Claudio Corvino. Nel suo Orso (edizioni Odoya, pp. 395, euro 20), l’autore ha redatto la «Biografia di un animale dalla Preistoria allo Sciamanesimo», come recita il sottotitolo. Personaggio arcaico, mitologico, artistico, immaginario e rituale – l’orso è stato preda e cacciatore, divinità tenuta in sommo rispetto (dagli Ainu, per esempio, che vivono nell’Hokkaido giapponese), animale sacro in molte culture, ma non per questo ha evitato di apparecchiare con le sue carni saporite le tavole di vari popoli, innaffiato di buon vino. Quando invece ha «nutrito» simbolicamente le feste – come quelle dei Pirenei – ha recuperato nel Carnevale stesso del suo corpo e nello scambio di mascheramenti fra uomo e animale, tutti i suoi significati più antichi: dal rapitore libidinoso alla potenza del combattimento fino al suo essere un custode ambiguo dell’aldilà, una specie di novello traghettatore delle anime