Lo slogan che accoglie i visitatori sul sito della principale area protetta del Trentino non potrebbe essere più esplicito: «Venite a conoscere il Parco Naturale Adamello Brenta, la terra dell’orso bruno delle Alpi». Eppure, in seguito al ferimento di un pensionato da parte di un orso presso i laghi di Lamar, lo scorso luglio, si è riaperta per l’ennesima volta la diatriba sull’opportunità di avere reintrodotto l’animale. Il discorso si è allargato alla possibile convivenza tra uomo e orso in zone altamente antropizzate. L’argomento è dibattuto con posizioni antitetiche tra gruppi animalisti e amministratori del territorio, mentre la popolazione locale ha assunto le posizioni più diverse, anche in virtù dell’esperienza maturata in questi venti anni di progetto Life Ursus.

Già a fine millennio il Parco dell’Adamello Brenta, tramite uno studio di fattibilità, cercava di stabilire l’opportunità del ripopolamento di orsi. A inizio anni ’90 infatti la popolazione autoctona era ormai da considerare estinta. Eppure di quel progetto fin dal principio si intuivano le potenziali criticità. Riportiamo uno stralcio dello studio dell’ente: «…Questo mammifero si muove su superfici enormi e vive a densità molto basse; per questo l’area necessaria a sostenere una popolazione è vastissima e deve comprendere almeno 2000 kmq di ambienti idonei e non disturbati, mentre la superficie del Parco Adamello Brenta è di soli 619 kmq. È stata perciò presa in considerazione un’area di 6500 kmq che comprende parte delle province di Trento, Bolzano, Sondrio, Brescia e Verona… Un risultato positivo che ci ha incoraggiato ad andare avanti affrontando il problema più delicato… È ancora compatibile la presenza di questo grande carnivoro in un Paese densamente abitato?…».

Già in principio quindi era noto che l’orso non si sarebbe limitato ad aggirarsi entro i confini del parco, e che la sua presenza si sarebbe estesa sostanzialmente a molte aree montane e pedemontane dell’intero arco alpino centrale. Non tutte queste zone sono per forza di cose contigue: grossi centri abitanti e arterie di traffico importanti rendono l’area sostanzialmente a macchia di leopardo. Si scelse quindi di correre quei rischi consapevolmente, tuttavia non senza interpellare la popolazione. Ancora dallo studio di fattibilità: «…abbiamo chiesto al Parco Adamello Brenta di realizzare un sondaggio sugli abitanti dell’area. Più di 1500 abitanti dell’area sono stati intervistati per analizzare la loro attitudine verso l’orso, la percezione verso questa specie e la possibile reazione di fronte ai problemi che l’orso porrà: più del 70% degli abitanti si sono dimostrati a favore del rilascio di orsi nell’area, percentuale che sale fino all’80% di fronte all’assicurazione che verranno prese misure di prevenzione.

L’articolo sottolineava la percentuale di favorevoli molto alta, ma il parere che si può dare prima di sperimentare incontri ravvicinati con l’orso può mutare alla prova dei fatti. Da allora a oggi cosa è cambiato?

Tra il 1999 e il 2002 vennero rilasciati nel territorio del parco 10 orsi bruni provenienti dalla Slovenia, esemplari che mostrarono una veloce capacità di adattamento così come di riprodursi, tanto che i provinciali registrarono alla fine di quell’anno ben 9 nascite. Tra gli orsi introdotti erano presenti anche Jurka e Daniza, salite agli onori della cronaca qualche anno più tardi. Proprio Jurka nel 2007 venne catturata e messa in cattività. L’orsa manifestava una eccessiva confidenza con l’uomo, tradottasi in una spiccata propensione a cercare cibo in paese. L’anno successivo Bruno, uno dei suoi figli, fu abbattuto dopo lo sconfinamento in Baviera. A quella data la popolazione di orsi ad ogni modo era già superiore alle 25 unità e le criticità non avevano ancora toccato direttamente l’uomo. I veri problemi iniziarono nel 2014, con l’aggressione di un fungaiolo di Pinzolo da parte di Daniza. L’orsa venne catturata, la dose di sonnifero però si rivelò fatale. L’anno successivo Wladimir Molinari venne aggredito da un altro esemplare sui sentieri sopra Cadine e ci vollero più di cento punti di sutura per chiudere le ferite procurate da KJ2. L’anno scorso, nella stessa zona, Diego Cintura riuscì a salvarsi fuggendo in bici.

La scorsa estate, intorno ai laghi di Lamar e quindi su sentieri vicini a quelli delle due precedenti aggressioni, si è verificato un nuovo incontro-scontro tra uomo e animale. A farne le spese Angelo Metlicovec, ferito a gambe e torace. Un mese più tardi KJ2 è stata abbattuta, in seguito a un’ordinanza a firma del presidente della provincia Ugo Rossi. Per chi non fosse pratico della zona, i laghi di Lamar e l’abitato di Cadine si trovano alle porte di Trento e sono la più classica destinazione della gita fuori città. Di fronte ai laghi teatro dell’aggressione si staglia il monte Bondone, la montagna che sovrasta la città è frequentata sia d’estate che d’inverno. KJ2 è stata abbattuta proprio in quella zona.

Se i fatti si fermano qui, la discussione invece è esplosa, per trasformarsi in un vero scontro di accuse reciproche tra fervidi animalisti e popolazione locale. Dalla proposta di boicottaggio delle vacanze in Trentino con insulti rivolti agli abitanti da un lato, per arrivare alla rivendicazione della libertà di fare a casa propria quello che si vuole dall’altro.

La manifestazione di protesta promossa dal fronte animalista (poche decine di persone) ha marciato su Trento intonando lo slogan «Trentini Assassini», suscitando non poche perplessità. Eppure la questione non si può ignorare perché da un lato animalisti e opposizioni giudicano fallimentari le scelte operate dal governo provinciale, facendosi forza degli strali piovuti dal web. Dall’altra, a livello locale, c’è il rischio che il clima degenerato favorisca soluzioni estreme, come raid di bracconaggio. Nel mezzo la realtà dei fatti dice che in Trentino si sta facendo quello che era stato previsto e concertato fin dall’inizio, limitando l’abbattimento a casi di comprovata pericolosità. Ad ogni modo, rimane la domanda: la convivenza tra orso e uomo in un territorio così antropizzato è ancora possibile?

«Come avete notato – spiega Andrea Mustoni, responsabile settore ricerca scientifica ed educazione ambientale del parco Adamello Brenta – la percezione è cambiata rispetto al 1997 e adesso sappiamo che tre persone su quattro sono scettiche. Se è così qualcosa è andato storto. Dopo il 2004 in particolare, quando la comunicazione è passata alla Provincia, non siamo riusciti a far passare alcuni concetti chiave su questi animali che oggi vengono troppo umanizzati o viceversa trasformati in mostri». Si può fare qualcosa secondo Mustoni: «La misura gestionale va implementata rispetto agli orsi problematici. Dobbiamo essere più incisivi e con più intensità. Se necessario, pur con dispiacere, un orso si può abbattere o ridurre in cattività, perché il concetto più importante è che noi non lavoriamo sugli individui ma sulla popolazione, l’obiettivo non è la conservazione del singolo esemplare ma della specie». Per quanto riguarda invece l’accresciuta confidenza dell’animale, il comportamento dei nuovi orsi trentini non sembra discostarsi troppo dalla norma: «Anche gli esemplari autoctoni nei decenni precedenti frequentavano orti e terreni a bassa quota, più o meno le stesse zone di adesso. Se gli orsi reintrodotti lo fanno più che agli inizi, una possibilità è data dal fatto che qui sia diverso da zone dove c’è il prelievo venatorio, come per esempio in Slovenia. Anche lì hanno avuto situazioni problematiche, ma hanno una percezione diversa. L’orso non è un peluche o un cartone animato, la fauna selvatica può essere pericolosa. Non ci deve essere però nemmeno strumentalizzazione in senso opposto, estremizzando il lato feroce dell’animale per guadagnare consensi con l’allarmismo».

Nel 2018 insomma l’orso delle favole dovrebbe finalmente andare in pensione: per quanto sia gratificante trovare il lato umano negli animali, l’orso non è un tenero pupazzo piuttosto che un mostro assetato di sangue.

È un animale selvatico e dobbiamo rapportarci a lui in quanto tale.