«In Nigeria lo Stato è un predatore: se fosse meno corrotto, sarebbero meno i combattenti di Boko Haram a essere uccisi, perché sarebbero meno gli uomini che decidono di prendere le armi contro il governo». È la critica di Wolfgang Bauer, giornalista tedesco della Zeit, nei confronti di una situazione ormai fuori controllo. Bauer si è recato in Nigeria nel luglio del 2015, poco più di un anno dopo l’assalto di Boko Haram al villaggio di Chibok, a nord-est del Paese. In quell’attacco 276 studentesse vennero fatte prigioniere.
L’opinione pubblica mondiale si era levata al grido «Bring back our girls», affinché venissero liberate. Ma quello di Chibok non è stato un episodio isolato: se molte ragazze sono riuscite a scappare, altrettante sono ancora prigioniere. Dal viaggio di Bauer in Nigeria è nato il reportage Le ragazze rapite (La Nuova Frontiera, pp. 192, euro 16.50, traduzione di Angela Ricci), che raccoglie le testimonianze delle ex prigioniere fuggite, sulla vita della cellula terroristica nigeriana e le condizioni disumane cui erano costrette. Bauer presenterà il suo libro al Book Pride di Milano, incontrando il pubblico questa domenica.

Chi sono «Le ragazze rapite»?
Quando le ho incontrate volevo capire chi fossero state prima che Boko Haram le strappasse via dalle loro case, distruggendo i loro villaggi e decimando le comunità cui appartenevano. La maggior parte è cresciuta in famiglie con grosse difficoltà, con genitori divorziati, con matrigne violente o padri che le maltrattavano.

Erano cristiane o musulmane?
La convinzione che Boko Haram rapisca e uccida principalmente cristiani è sbagliata: molte delle ex prigioniere che abbiamo incontrato sono musulmane. Non importa la fede che professano le vittime; ai militanti di Boko Haram interessa aumentare il numero di sottomessi che fanno funzionare il sistema: servitori per le famiglie, schiavi del sesso, operai per i lavori forzati. Altri, invece, subiscono potenti lavaggi del cervello che li trasformano in combattenti o attentatori suicidi.

È chiaro, come si evince dai loro racconti, che le esperienze di queste ragazze sono tutte drammatiche. Ma quale l’ha impressionata di più?
È banale dire che ciascuna di loro avrebbe così tanto da raccontare da poter riempire un libro. Ma è la verità. Di sicuro mi ha commosso il racconto delle giovani rimaste incinte dopo le violenze sessuali subite e per questo costrette a sposare quelli che – prima di essere i loro aguzzini – erano stati carnefici dei loro padri. «Avrei preferito essere uccisa», mi ha detto una ragazza. Anche la maternità dopo una simile esperienza non è facile: alcune amano i figli pur se frutto di oscenità dolorose. Altre non sopportano la sofferenza e li uccidono. È la follia scatenata da questa setta islamica.

Com’è stato andare al cuore di Boko Haram, mentre molte ragazze erano ancora prigioniere?
A dire il vero, all’inizio avevamo paura: eravamo gli unici stranieri in giro e potenzialmente un valido bersaglio per attentati. L’arma più letale di Boko Haram sono proprio le ragazze sequestrate, costrette a compiere gesti estremi come farsi esplodere nei mercati o sugli autobus. Per questo, oltre ai traduttori, abbiamo assunto delle guardie di sicurezza donne che hanno controllato le ragazze con i metal detector prima degli incontri. Può sembrare una misura molto sgradevole ma era necessaria. Pensi che il primo giorno abbiamo dovuto interrompere le interviste a causa di un’esplosione provocata da bambino di nove anni che si era fatto saltare in aria e a un paio di km da noi.

Cosa rende possibile il proliferare di organizzazioni terroristiche come Boko Haram?
La loro forza è la debolezza dello Stato: più è instabile, più loro sono forti. E mi creda, in Nigeria le istituzioni sono piuttosto deboli. Nulla di buono viene dal governo se si vive nella parte nord-orientale del Paese. Capita spesso di vedere gli ufficiali di polizia corrompere gli insegnanti in strada per convincerli a lavorare, cosa che fanno raramente. E se ci vanno, c’è bisogno di pagarli per qualche altro motivo. Lì lo Stato non è certo un dispositivo di protezione.

Quali sono le operazioni necessarie per salvare la Nigeria e, in generale, tutti i paesi musulmani, dal fondamentalismo?
Questa è la grande domanda. La decisione di lasciare questi Paesi, perché essere lì è troppo pericoloso, è sbagliata. Sa chi ha maggiormente beneficiato del denaro speso per lo sviluppo dell’Afghanistan? I talebani. Perciò, più tempo trascorro nelle aree di crisi, più capisco quanto sia importante elaborare un piano per rafforzare l’istruzione. Lì la formazione scolastica è basata sulla memorizzazione dei concetti: il docente recita e i ragazzi ripetono. Senza pensare. Per questo è necessario «insegnare agli insegnanti» come educare alla legalità e alla creatività. Può sembrare una visione ottimista e banale, ma – mi creda – è la chiave del progresso. Senza di essa tutto il resto – i programmi di sviluppo, l’assistenza militare, l’adeguamento abitativo – è nulla.

Qual è stata la cosa più difficile nello scrivere questo reportage?
È come se questo libro l’avessero scritto loro, le ragazze. Volevo che avessero il loro spazio per raccontarsi. Le loro testimonianze sono passate solo attraverso la fase di traduzione ed editing, ma nel complesso il merito del lavoro è loro.