La Grecia non è famosa per le sue strade. Tranne le due o tre arterie che collegano Salonicco e Atene ai principali porti turistici, il territorio ellenico è percorso soprattutto da viottoli stretti e tortuosi. Perciò, si rimane doppiamente sorpresi quando, lasciata la provinciale di Megali Panagia, a nord della penisola calcidica, si imbocca una carreggiata ampissima e nuova di pacca, che sale verso un fitto bosco apparentemente disabitato sulla montagna di Kakavos.

In effetti non è una strada qualunque. Non è nemmeno opera del dissanguato stato greco ma di una società mineraria privata, la Hellas Gold che la usa per i camion che salgono e scendono dal cantiere della futura miniera di Skouries. Nonostante il nome, la Hellas Gold di greco ha ben poco. Il 95% delle sue azioni appartiene alla multinazionale canadese Eldorado Gold i cui interessi spaziano dal Brasile alla Cina ed è una delle dieci maggiori società estrattive al mondo.

La montagna preziosa

La montagna è loro, e la montagna è d’oro. Lo aveva già scoperto Alessandro Magno, che si riforniva qui per i gioielli di corte. Nei 2500 anni trascorsi da allora, da queste montagne sono state estratti 33 milioni di tonnellate di minerali. Secondo la Eldorado, il potenziale nascosto a Skouries ammonta a 150 milioni di tonnellate di minerali contenenti oro e rame, il secondo maggiore giacimento d’oro della società dopo quello di Kisladag in Turchia.

Il progetto della miniera esiste dal 2006 ma finora è proceduto a rilento. Colpa, anzi merito, dei comitati popolari sorti spontaneamente in tutti i villaggi della zona, che si oppongono allo sfruttamento dell’oro locale. Quest’anno, in agosto, proprio nel bosco di Skouries i comitati popolari hanno organizzato un campeggio anti-gold per riprendersi almeno simbolicamente la montagna contesa. Per una decina di giorni, è stato il quartiere generale dell’opposizione all’oro.

Nella foresta si sono svolte manifestazioni, assemblee, laboratori, proiezioni e concerti per alimentare la lotta alle «nocività»: quelle locali, certo, ma si guarda anche più lontano. Sono arrivati i valsusini contro il Tav (ovviamente), il comitato Zad che occupa il terreno destinato al nuovo aeroporto internazionale di Nantes, i comitati contro le miniere provenienti da Bulgaria e Romania. Ci tengono a non apparire un classico movimento «Nimby», «Not In My Backyard».

Anche perché l’oro è qui e anche volendo non lo si potrebbe spostare nel giardino di qualcun altro. Nella Grecia strozzata dai debiti, opporsi all’apertura di una miniera d’oro sembra una cosa da pazzi. A guardare da vicino le cose, però, i pazzi potrebbero aver ragione.

Le ragioni dei «pazzi»

Le miniere d’oro sono velenose, e non è un modo di dire. Per estrarre l’oro, il minerale estratto deve essere trattato col cianuro, producendo scorie liquide con una tossicità elevatissima. I depositi di scorie possono raggiungere le falde acquifere, o in caso di incidenti riversarsi a valle, compromettendo la vocazione turistica della zona (47 bandiere blu sui 550 km di costa). È un rischio che nella vicina Romania conoscono bene dal 2000, quando una diga di contenimento cedette e centomila metri cubi di scorie della miniera d’oro di Baia Mare si riversarono nel Danubio.

La Eldorado assicura che non utilizzerà il cianuro, ma impiegherà un processo più «pulito» denominato «flash smelting». Peccato che finora non sia mai stato applicato per l’estrazione dell’oro su scala industriale, e che secondo molti analisti anche nella miniera di Skouries prima o poi si ricorrerà ai metodi tradizionali. In ogni caso, le sorgenti di Kakavos da cui proviene gran parte dell’acqua della penisola calcidica saranno compromesse, poiché fiumi e torrenti serviranno a canalizzare acque reflue. Non si tratta di una proiezione catastrofista. Le attività minerarie già attive nella zona consumano l’equivalente del fabbisogno idrico di quarantamila persone.

La miniera della Eldorado avrà dimensioni ben maggiori delle miniere attuali: sarà un cratere di 700 metri di diametro e 260 metri di profondità. Secondo uno studio del dipartimento di geologia dell’Università di Salonicco, oltre a inquinare le acque la miniera disperderà nell’aria circa mille tonnellate l’anno di polveri contenenti monossido di carbonio, ossidi di azoto e zolfo, metalli pesanti come arsenico, cadmio e mercurio con un impatto devastante per la salute. Nubi del genere viaggiano lontano e possono facilmente raggiungere aree densamente abitate come quella di Salonicco, a un centinaio di chilometri di distanza.

Per non farsi mancare niente, un tunnel di nove chilometri attraverserà una faglia sismica attiva, la stessa che nel 1932 causò un terremoto di magnitudo 7 e la morte di quasi cinquecento persone.

L’«affarone» dello Stato

In cambio, la multinazionale concederà ben poco. I posti di lavoro, tra cantiere e miniera, saranno circa un migliaio, ma a spese di un’industria turistica fiorente (il 20% del Pil locale). Nemmeno le casse dello Stato greco ne trarranno un grande vantaggio. Quando nel 2003 il governo greco, con un blitz dell’allora viceministro socialista dell’economia Christos Pachtas, vendette la miniera alla Hellas Gold, si accontentò di undici milioni di euro, a fronte di un valore stimato del minerale pari a quindici miliardi, oltre mille volte in più.

L’affarone saltò agli occhi dell’Unione Europea, che condannò la società a versare 15 milioni allo stato per l’evidente aiuto ricevuto. Il governo greco rifiutò addirittura l’indennizzo. Dopo oltre un decennio, la Corte di Giustizia Europea deve ancora pronunciarsi in maniera definitiva sulla controversia. Come se non bastasse, il governo si impegnò ad alleggerire il carico fiscale per la società, rinunciò alle royalties derivanti dall’estrazione dell’oro (grazie al codice minerario risalente all’epoca dei Colonnelli) ed esentò la Hellas Gold dall’indennizzare gli eventuali danni ambientali provocati dallo sfruttamento della miniera. Per il governo greco, dunque, la miniera potrebbe paradossalmente rivelarsi un’ulteriore fonte di spesa.

Non sorprende che i cittadini della Calcidica non credano che il governo centrale riesca a tutelarne gli interessi. Le istituzioni hanno contribuito ad esasperare gli animi. Negli ultimi anni, le manifestazioni contro la miniera si sono concluse tra i lacrimogeni, con arresti arbitrari e intimidazioni giudiziarie. Dopo un assalto incendiario al cantiere della primavera dell’anno scorso il governo ha messo in campo gli squadroni anti-terrorismo, inasprendo ulteriormente lo scontro. Nel 2013 nella cittadina balneare di Ierissòs, la polizia dovette affrontare le barricate degli abitanti insofferenti e arrivò a gasare il cortile del liceo locale, mandando all’ospedale diversi ragazzini. L’intimidazione non riuscì, e il movimento ne uscì più compatto di prima.

Presidio permanente

Oggi il presidio permanente sulla montagna che ha dato filo da torcere ai celerini greci è stato smantellato, ma grazie al successo elettorale del partito di sinistra Syriza guidato da Alexis Tsipras, anch’esso schierato contro la miniera, il popolo anti-gold ha qualche supporto politico in più. Pachtas, il responsabile dello scandalo del 2003, nello scorso maggio è stato sconfitto nelle elezioni municipali proprio nel suo feudo di Aristotelis, a due passi dalla futura miniera. Persino il partito comunista Kke, vicino alla tradizione stalinista, si è allineato al movimento e ha rinunciato alla sua posizione iniziale, favorevole all’estrazione ma con capitali di stato.

I neofascisti di Alba Dorata, da parte loro, hanno tentato di infiltrarsi nel movimento, ma senzasuccesso.
Nei fatti, però, poco è cambiato. I lavori per la miniera proseguono ad un ritmo più rapido. Dal 2003, il contesto economico e politico è mutato, certo, ma alle privatizzazioni che hanno dissestato la Grecia oggi si risponde con nuove privatizzazioni, motivate dalla ragione opposta. La Grecia, tra l’altro, si sta scoprendo ricca di risorse naturali. Già oggi è la nazione leader in Europa per la produzione di alluminio e nichel. I suoli greci, in più, nascondono importanti riserve di petrolio e soprattutto di gas naturale che, secondo le stime più ottimistiche, potrebbero coprire un quarto del fabbisogno di gas naturale del continente.

Manco a dirlo, sono state due società canadesi, consorziate ad altrettante aziende locali, ad aggiudicarsi in estate i primi contratti per l’esplorazione dei giacimenti. Infine, i giacimenti di terre rare (elementi chimici fondamentali per la realizzazione dei dispositivi elettronici, di cui la Cina ha le maggiori riserve mondiali) del nord del paese fanno gola alle imprese hi tech europee, in difficoltà per le pratiche monopolistiche di Pechino. Anche in questo caso, i filoni sono noti da tempo, ma molte miniere erano state abbandonate proprio per l’impatto ambientale giudicato insostenibile.

La recessione greca si sta rivelando però l’alleato migliore per l’industria estrattiva. L’economia è ancora stagnante, tanto che persino l’ultimo dato negativo sul Pil (-0,3%) è stato accolto con ottimismo. Con questi chiari di luna, stanno aumentando le pressioni per allentare i vincoli ambientali e accelerare lo sfruttamento delle materie prime e la riapertura di miniere vecchie e nuove. Dopo le Olimpiadi, Atene vorrebbe ospitare la prossima corsa all’oro e se l’uscita dal tunnel della crisi economica ancora non si vede, non c’è da preoccuparsi. Tanto il tunnel punta dritto sottoterra.