C’è la Napoli dei gangster, della camorra, delle ville in stile Scarface e dei quartieri degradati. È la Napoli che spopola nei film e in televisione, della criminalità seriale, al contempo vera e stereotipata e che si nutre del proprio stesso clichè. Ma esistono tante altre Napoli, come quella del quartiere di Montesanto dove vivono ed escono alcuni dei ragazzi dell’Afronapoli United: la squadra di calcio multietnica raccontata da Loro di Napoli di Pierfrancesco Li Donni, in programma oggi nel concorso Extr’a della ventiseiesima edizione del Festival di cinema africano a Milano.

«Con questo documentario ho cercato di raccontare una Napoli anti-gomorriana – dice Li Donni- di fotografare un aspetto della città diverso da quello che siamo abituati a vedere».
Il progetto nasce più di due anni fa, quando il regista palermitano legge un articolo sul Manifesto dove si raccontavano i tentativi di questa squadra per iscriversi ai campionati professionistici. Con un fondamentale problema: «Fino all’anno prima la Federcalcio non permetteva ai giocatori con una residenza in Italia inferiore ai tre anni di iscriversi ai campionati federali», spiega Li Donni.

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Ma l’Afronapoli è composta da migranti come Maxim, «ex promessa calcistica della Costa d’Avorio» trasferitosi a Napoli proprio per diventare un giocatore professionista. O da napoletani come Adam, nato e cresciuto in Italia da genitori ivoriani. E perfino da apolidi come Lello, «figlio di una migrante irregolare che non l’ha potuto iscrivere all’anagrafe perché il padre napoletano non l’ha mai voluto riconoscere».

Per molti di loro, quindi, il vero problema è non avere alcun documento di identità valido ancor prima che la residenza in Italia. Non appena la norma della Federcalcio decade, però, il presidente dell’Afronapoli Antonio decide di fare il salto di qualità, e passare dai tornei amatoriali a quelli professionistici. «Con l’escamotage del tesseramento dei giocatori – racconta il regista – Antonio cerca di risolvere i problemi dei suoi ragazzi, di regolarizzarne la posizione». Tutta la prima parte del film ce lo mostra mentre «si scontra con il muro di gomma della burocrazia», restituendo così uno spaccato non solo di Napoli ma dell’Italia e delle sue contraddizioni, nella «giungla normativa» che avvolge i protagonisti.

Col procedere del campionato e il susseguirsi delle vittorie dell’Afronapoli conosciamo meglio anche i giocatori, entriamo nelle loro case e nelle loro vite quotidiane fatte di allenamenti, l’occasionale vendita di qualche profumo contraffatto e di uscite con gli amici . «Inizialmente erano diffidenti nei confronti di quello che stavo facendo – racconta il regista – ma soprattutto ero io stesso a non dare troppa confidenza: ho passato i primi sei mesi solo a osservare». Poi si sono sciolti: «erano abituati a essere ripresi durante le partite, e alla fine si sono rivelati degli attori nati».

L’unico che continua a fare fatica davanti alla macchina da presa è Maxim, le cui speranze di vivere del suo talento si affievoliscono ogni giorno che passa: il calcio per il momento non porta alcun guadagno, «e i suoi anni cominciano a diventare troppi per poter immaginare un futuro in serie A – spiega Li Donni – nonostante l’Afronapoli continui tutt’ora a vincere e a scalare le categorie professionistiche».
Il microcosmo familiare e sportivo raccontato da Loro di Napoli riflette così «un’integrazione compiuta in un incompiuto sistema sociale – dice il regista – in cui Adam da piccolo non veniva preso in giro per il colore della sua pelle, ma per il fatto di aver vissuto per sette anni a Torino». Nelle strade di Montesanto, a ridosso dei Quartieri spagnoli, «si parla addirittura un dialetto che mischia napoletano e creolo, conosciuto alla perfezione tanto dai migranti che dai napoletani».

Lello invece per poter continuare a giocare a calcio coi suoi compagni diventa «la prima persona in Italia a cui viene concesso uno ius soli sportivo, che lo stesso sindaco De Magistris consegna alla Federcalcio». Non gli è consentito invece di andare a trovare la fidanzata in Francia per lavoro: senza un documento è impensabile passare la frontiera, e Lello ha già avuto problemi con la legge. È il sistema politico e burocratico a non tenere il passo con le vite di questi ragazzi, nel bene e nel male «in armonia con l’ambiente che li circonda», espressioni di un futuro che è già in mezzo a noi.