Il 12 e 13 aprile a Verona si svolgerà l’incontro nazionale dal titolo Sono cambiate molte cose. Donne e uomini reinventano il presente educativo. A promuovere il convegno sono in tante e tanti che in questi anni hanno creato, a vario titolo, la pedagogia della differenza sessuale e il movimento di autoriforma. Si potranno dunque ascoltare gli interventi e le restituzioni di Anna Maria Piussi e Antonia De Vita (Università di Verona), Alessio Miceli (Maschile Plurale), Clara Bianchi e Maria Cristina Mecenero (Maestre in ricerca e in movimento), Vita Cosentino (rivista Via Dogana), Marina Santini (Autoriforma della scuola), Sara Gandini (Libreria delle donne di Milano), Salvatore Guida (Stripes), Maria Piacente (rivista Pedagogika), Antonietta Lelario (Le città vicine) e Gian Piero Bernard (La Merlettaia). Nella lettera d’invito, disponibile integralmente nel blog dedicato all’iniziativa (http://cesdef.wordpress.com), l’intento è piuttosto chiaro.

Si legge, infatti, che «L’esigenza è quella di comprendere che cosa è in gioco oggi, rifare il punto delle esperienze e dei risultati maturati da donne e uomini nelle scuole, nelle università, nei servizi – istituzioni a rischio di delegittimazione – nei territori, nelle «altre scuole», luoghi in cui si costruiscono saperi in altro modo: libere università, redazioni, libere aggregazioni, sperimentazioni economiche, artistiche e sociali». È un passaggio cruciale che posiziona il desiderio dell’incontro veronese come il rilancio di un percorso più lungo.

Il desiderio è quindi la domanda politica di lettura e di generazione della realtà, dopo quasi trent’anni dall’inizio della pedagogia della differenza insieme alle connessioni tra contesti diversi che non siano necessariamente istituzionali; si tratta piuttosto di dare conto di ricerche mosse da nuove forme di relazionalità politica.

Mutazioni in atto

Ma qual è il significato di aver pensato un convegno simile proprio ora? Non ha dubbi Anna Maria Piussi: «L’idea di questo convegno mi è venuta dopo aver partecipato all’Incontro femminista di Paestum 2012, per il senso di libertà e la ricchezza di scambi circolati lì, ma anche per le denunce lì avanzate circa l’assenza di pensiero e di pratiche femministe nella scuola e nell’Università e il silenzio delle insegnanti sulla differenza sessuale. Come se d’un solo colpo fossero azzerate scoperte, pratiche e parole, tutto un fermento creato a partire dalla metà degli anni Ottanta dalle donne con la pedagogia della differenza e il movimento di autoriforma, e si dovesse ricominciare daccapo. Quando nel frattempo si impongono dall’alto politiche di parità, iniziative di educazione al genere che rischiano di cancellare le soggettività e le relazioni, e si accendono dibattiti fuorvianti sul superamento della differenza donna/uomo e delle differenze soggettive in nome dell’uguaglianza di diritti. Da tempo sentivo, con altre, la necessità di un confronto di ampio respiro su scuola ed educazione in un mondo trasformato dalla libertà femminile, e questa volta anche con uomini. La scommessa dell’Incontro nazionale è quella di misurarsi con il presente – un presente disorientato ma anche promettente – perché scuola, educazione, formazione siano realmente al cuore di una nuova civiltà di rapporti, e con la radicalità che viene dall’agire con libertà e consapevolezza la differenza di essere donne e uomini».

Nuovi sguardi

Dall’università alla scuola elementare e ritorno, dunque, passando per i vari cicli didattici e per esperienze fuori dalle istituzioni formative tradizionalmente intese, il motivo di guadagno di un’impresa come questa ha radici ben salde e tenaci. Stando sul presente, e soprattutto intorno a ciò che è accaduto negli ultimi vent’anni, non può essere negata l’esistenza fertile di quelle che Antonia De Vita chiama altre scuole, registrando così molte esperienze che pur mantenendo una spiccata implicazione educativa, decidono il proprio spazio di creatività ed espressione fuori dalle sedi tradizionalmente deputate a farlo. Ecco perché la domenica del 13 verrà dedicata a Contesti e pratiche che generano saperi e nuove visioni.

«Infatti – prosegue De Vita – nei contesti urbani sono nati gruppi e libere aggregazioni che attorno a gesti di consumo e produzione critica (G.a.s, Des, etc.), o alle occupazioni di spazi simbolici delle città (Teatro Valle, Roma; Macao, Milano), o alle creazione di nuovi legami sociali di prossimità e di convivenza nel proprio territorio (Città vicine, associazioni e gruppi di vicini), hanno inventato o riattualizzato pratiche e saperi della materialità, nuove forme del consumo e del lavoro, della convivenza e della convivialità. Abbiamo assistito poi, in contesti informali, associativi e sociali, alla diffusione di saperi e sapienze che rimettono al centro l’intelligenza del corpo nella sua connessione con la mente. Pratiche molto antiche, come quella della presenza mentale, o più recenti che segnalano il bisogno di scommettere su saperi per la vita e per l’educazione ispirati a epistemologie dell’integrazione tra dimensioni razionali e affettive ed emozionali. Questi luoghi di pratiche e di saperi ci sembrano significativi non solo per ridisegnare i nuovi spazi dell’educazione e della formazione, ma anche per mostrare le nuove visioni che le ispirano».

L’annuncio dell’incontro nazionale veronese era stato anticipato durante i lavori preparatori di Paestum 2013, quando cioè era stata esplicitata la scommessa politica relativa ad un laboratorio interamente dedicato al tema durante la due giorni femminista. Dopo quell’esperienza sono state rese disponibili alcune restituzioni ora presenti nel blog http://paestum2012.wordpress.com. Per quell’occasione, Antonia De Vita, Valentina Festo e Alessio Miceli (tra altre e altri partecipanti) avevano sintetizzato alcuni punti essenziali delle loro singole esperienze. De Vita riconosce come siano trascorsi molti anni dal movimento di insegnanti che attorno alla pedagogia della differenza sessuale prima e al movimento di autoriforma della scuola poi, aveva raccolto riflessioni e inventato pratiche corredando tanti testi e dando vita a numerosi convegni.

Alla luce del desiderio

Tra i volumi basti ricordare Educare nella differenza (1989) a cura di Anna Maria Piussi ma anche Sapere di sapere (1994), insieme a Buone notizie dalla scuola. Fatti e parole del movimento di autoriforma (1998), per le cure di Vita Cosentito, Antonietta Lelario e Guido Armellini. Ma Maria Cristina Mecenero, maestra elementare in una scuola della periferia milanese, e molto attiva nel sostenere il sapere autonomo e relazionale delle maestre, considera soprattutto un punto: «A Roma nel convegno Che genere di programmi (febbraio 2013) molte delle presenti sostenevano che nelle scuole non c’è più niente, niente iniziative autonome, niente lavorio per creare nuovi sguardi verso l’esserci femminile e maschile in questo mondo; anzi: le insegnanti non portano libertà, la ostacolano e c’è bisogno di esperte per assisterle nella programmazione e progettazione. Una postura pericolosa, che non tiene conto di ciò che avviene in molte relazioni comuni e reali, nei vari contesti formativi. Non si vede che si è il cambiamento. C’è un misto di arretramento voluto e di qualcos’altro. Possiamo stare all’intreccio tra realtà diverse? Siamo interessate a confrontarci con altre impostazioni? Le iniziative centrate sulla discriminazione femminile e sugli stereotipi rischiano di trattenerci nel passato e distoglierci dal riconoscere e agire il cambiamento, dal desiderare in grande. Ci sembra più urgente raccontare ciò che di nuovo sta già capitando. Abbiamo bisogno di portare alla luce ciò che già si fa nella direzione di scambi creativi, anche conflittuali, che consentono di cambiare in meglio le condizioni del vivere insieme».

Educare nella differenza attiene anzitutto al come e non al che cosa; non è la proposta di pari opportunità di genere, soprattutto se calata dall’alto, o di formazione a tematiche di genere a procurare il cambiamento, bensì il modo stesso di agire la propria libertà che traccia un orizzonte; altresì è ugualmente la modalità stessa che si intrattiene con le forme del sapere a costituire un cambio di prospettiva.

Alessio Miceli, forte anche della sua esperienza di insegnante negli istituti superiori, specifica che c’è bisogno di smontare «quei meccanismi con cui si comprimono i corpi, i tempi ed i pensieri svuotati di sentimenti, mancanti di contatto con il mondo. Ci sono interi programmi che restano lettera morta fin quando qualcosa non viene illuminato dalle domande di senso che ciascuno/a si pone. Coltivare, porre e ascoltare queste domande soggettive ci riporta alla radice viva dei saperi che abbiamo costruito. Poi la propria soggettività incontra le altre e si può cooperare anziché essere tenuti a competere, una forma di pensiero e di relazione salvavita nella giungla del mercato attuale (e della sua pedagogia)».

Il punto su cui insiste Miceli è soprattutto l’ipotesi di «scardinare l’istituzione che è dentro di noi». Ciò sottende sia una pratica di libertà (che è poi il vero cambiamento portato dal femminismo) che una soggettività capace di costruire relazionalità, oggi, tra donne e uomini. Del resto, come ricorda Sara Gandini, non è stato forse il movimento di autoriforma della scuola a chiedere «il minimo di potere e il massimo di autorità»? Se dunque la partita che si gioca all’interno della scuola dovesse concludersi in un’aggiunta di contenuti e saperi critici sull’identità di genere sarebbe davvero poca cosa.

La scuola-comunità

A questo proposito, Maria Cristina Mecenero, è da anni impegnata nella riflessione e nella pratica della differenza insieme a donne e uomini da nord a sud dell’Italia. Il suo è un posizionamento piuttosto preciso sul lavoro educativo; se si può partire dal carattere di osservazione dell’esistente, constatando per esempio una partecipazione genitoriale crescente, è pur vero che le relazioni familiari e culturali portate nelle classi da bambine e bambini mostrino meglio di qualunque altro esempio il guadagno delle narrazioni che sono già frutto di cambiamento. Ciò significa forse una scuola che si sente comunità, che dichiara cioè di poter dire, nel proprio tessuto anzitutto simbolico, di non rappresentare un pezzo della società ma di sperimentare una trasformazione già in atto.

Non si tratta quindi di affiancare alle e agli insegnanti nessuna figura esperta esterna e calata dall’alto. Si tratta piuttosto di fare agire la libertà delle relazioni di differenza, comprese quelle sviluppate tra le varie istituzioni scolastiche e quelle che istituzionali neanche desiderano diventarlo. Prestare attenzione al cambiamento già in atto alza la posta in gioco della scommessa educativa e insieme racconta di un presente declinato al futuro.