Da piccolo, Primo Levi era timido e arrossiva spesso. Fragile di costituzione, era un inguaribile romantico: regalava francobolli alle sue innamorate in miniatura. E poi, gli piaceva insegnare a leggere ai cuginetti e anche raccontare storie. Nato nel luglio del 1919 a Torino, lo scrittore in quell’appartamento di famiglia, vi rimase per tutta la vita. Fino a quando questa sua abitudine rassicurante non gli venne strappata dalla furia della Storia. La sua condanna venne scritta a chiare lettere sul certificato di laurea in chimica: di «razza ebraica». E d’improvviso perse ogni diritto di esistenza, ogni cittadinanza.

Primo Levi, l’uomo, il testimone, lo scrittore è il libro di Frediano Sessi con cui Einaudi Ragazzi (pp.144, euro 10) sceglie di presentare quell’autore piemontese che in molte classi della scuola italiana si affronta fin dalle medie. Quando era un adolescente, come adesso i suoi lettori, Primo amava la montagna, che spesso raggiungeva in bicicletta con faticose e ritempranti pedalate. Tentò anche di buttare giù un racconto su quelle cime che lo emozionavano, ma il tentativo fallì: «Volevo rappresentare la sensazione che si prova quando si sale avendo di fronte la linea della montagna che chiude l’orizzonte». Lo scritto, giudicato brutto, rimase inedito. Neanche in amore, all’inizio, fu fortunato: Gabriella, la sua passione, era super fidanzata. Sarebbe uscita dalla sua vita, ma un giorno, trent’anni dopo, Levi la immortalerà in una manciata di parole: «Non siamo malcontenti delle nostre scelte, ma quando ci incontriamo proviamo entrambi la curiosa e non sgradevole impressione che un velo, un soffio, un tratto di dado, ci abbia deviati su due strade divergenti che non erano le nostre…». Intanto, la guerra sconvolge l’Italia. Rifugiatosi a Amay, tra le vette della Val d’Aosta, con la madre e la sorella, Primo Levi entrò in una banda partigiana. Sarà proprio un’altra banda, quella dei «casalesi», a far precipitare le cose e a portare all’arresto dello scrittore. Da quel momento, prima in viaggio verso Fossoli, poi verso il lager di Auschwitz, la resistenza diventerà tutta interiore, tesa a sopravvivere all’orrore: Levi era adesso il prigioniero numero 174517. Per poter un giorno raccontare di essere stato all’inferno e di esserne uscito, Primo scampò alla morte. Ma a scarseggiare, negli anni a venire, sarà la forza per riprendere a vivere. Libri come La tregua e Se questo è un uomo lo aiuteranno ad andare avanti. Come testimone, Levi andrà a parlare nelle scuole e incontrerà tanti adolescenti. «No signorina – risponderà a una ragazza che non crede ad alcune foto pubblicate su La Stampa – non c’è modo di dubitare delle immagini. Quelle cose sono avvenute, e sono avvenute proprio così, non secoli addietro, non in paesi remoti, ma 15 anni fa e nel cuore della nostra Europa».