Dopo due edizioni di «emergenza», quella del 2020 esclusivamente online e quella dell’anno passato spostata in estate e nel solo Cinéma Visionario, l’edizione 2022 del Far East ritorna nella sua collocazione originaria di fine aprile.

Come già successo in questi ultimi anni in molti eventi festivalieri, alle proiezioni in presenza si aggiunge in questa edizione del festival di Udine anche una sezione online, visibile sulla piattaforma mymovies.it dove saranno presentati ventotto titoli.

Chi può, vada però nel capoluogo friulano perché, al di là del fascino dell’incontro con appassionati e protagonisti della cultura cinematografica dell’estremo oriente, tra retrospettive, eventi speciali e concorso saranno presentati a Udine ben settantadue lungometraggi provenienti da quindici diversi paesi. Una finestra aperta sì su una zona geografica, ma anche su un periodo di tempo ben determinato, quello pandemico degli ultimi anni, che ci da un’idea di come le cinematografie estremo orientali abbiano saputo districarsi fra le difficoltà e le restrizioni dovute al virus.

Fra gli ospiti d’onore quest’anno spicca soprattutto il nome di Takeshi Kitano a cui sarà consegnato il Gelso d’Oro alla carriera, per onorarne il genio come regista sarà proiettato Sonatine (1993), forse uno dei film che meglio rappresenta la sua poetica malinconica e violenta, mentre per celebrare il Kitano attore sarà possibile vedere la versione restaurata di Battle Royale (2000), ultimo lungometraggio diretto da Kinji Fukasaku e capostipite di un genere, quello del gioco mortale ad eliminazione, metafora fra le altre cose, di quella parossistica competitività presente in alcuni paesi asiatici, che continua ancora ad imperversare tra piccolo e grande schermo.

Sempre restando nella cinematografia del Sol Levante, sarà presentato What to Do with the Dead Kaiju? commedia di Satoshi Miki che ironizza su quel che resta dei kaiju dopo le battaglie che di solito vediamo nei film di mostri, lavoro che a dir il vero non ha riscontrato troppo successo di critica in patria, ma che vale comunque la pena di vedere. Ritorna a Udine dopo il successo di One Cut of the Dead/Zombie contro zombie del 2017, il FEFF contribuì in maniera determinante al successo internazionale del film, Shinichiro Ueda con Popuran. Dopo l’ottimo e divertente Special Actors di tre anni fa, il regista nipponico realizza una commedia dalle premesse alquanto surreali, una mattina il protagonista si sveglia e si accorge che il suo pene non c’è più e che se n’è volato via.

Fra gli altri film giapponesi proiettati ci sono Just Remembering di Daigo Matsui e Love Nonetheless, commedia sentimentale diretta da Hideo Jojo, ma ci sembra qui necessario fare una piccola digressione su quel che sta succedendo nell’industria cinematografica dell’arcipelago, anche perché uno dei punti di vanto dell’edizione di quest’anno del festival è la presenza di registe donne.

A seguito di accuse di molestie sessuali ripetute da parte di varie attrici verso Sion Sono (Love Exposure, Whispering Star, Cold Fish) nelle scorse settimane, si può certamente affermare che il movimento MeToo è ufficialmente arrivato anche nell’industria cinematografica e dello spettacolo del Sol Levante. Come da un vaso di pandora stanno uscendo quasi giornalmente nuove accuse verso registi e produttori, accuse di molestie sessuali e più spesso abuso di potere, questo un problema endemico, tanto che il Mainichi Shinbun, uno dei giornali più letti, in un articolo pubblicato alcuni giorni fa ha suggerito la necessità di creare una piattaforma dove le vittime di tali abusi possano liberamente trovare una voce in quanto spesso vittime di ritorsioni.

Ritornando al FEFF e spostando l’attenzione verso la Corea del Sud, nel capoluogo friulano saranno proiettati fra gli altri Tomb of the River, un noir ambientato nella città di Gangneung e diretto da Young-bin Yoon, e Escape From Mogadishu di Seung-wan Ryoo che finalmente arriva nella nostra penisola. Presentato come evento speciale, il film è un ritorno per regista che torna a Udine dopo aver portato al FEFF delle edizioni passate molti dei suoi lavori come The Unjust, The Berlin File o The Battleship Island. Escape from Mogadishu analizza in forma di finzione un avvenimento realmente accaduto in Somalia nel 1991, quando i consoli della Corea del Nord e della Corea del Sud cercarono di fuggire dalla guerra civile scoppiata nel paese africano.

Come al solito il FEFF è un labirinto di visioni in cui lo spettatore sceglie la propria strada e la forma da dare al proprio festival a seconda delle preferenze di genere e di zona geografica, stato d’animo e orari. Un posto speciale quest’anno è occupato dal cinema filippino, Erik Matti e il suo Rabid (2021), fuori concorso, dove si esprimono le paure e le angosce derivate dalla pandemia in cui ancora siamo immersi, ma soprattutto la retrospettiva sulla città di Manila e come questa sia stata rappresentata, nel corso dei decenni, sul grande schermo. Cinque saranno i film proiettati, a cominciare dal capolavoro di Lino Brocka Manila in The Claws (1975), ma anche Manila By Night (1980), la vita di notte di alcuni abitanti della città, film diretto da Ishmael Bernal, senza dimenticare Metro Manila (2012) di Sean Ellis, storia di una famiglia che dalla campagna si sposta nella capitale in cerca di fortuna.

Per gli amanti dell’animazione, da non perdere Inu-Oh, musical storico creato dalla mente lisergica di Masaaki Yuasa e già passato a Venezia, e Satoshi Kon: The Illusionist, documentario del francese Pascal-Alex Vincent sul mai troppo compianto regista e animatore giapponese autore di Perfect Blue, Paranoia Agent e Paprika.

Infine fra i classici restaurati e riproposti a Udine in tutta la loro bellezza, oltre al già citato Battle Royale, sarà possibile vedere Audition di Takashi Miike, vedremo se ci saranno svenimenti o uscite dalla sala in massa come successe a Rotterdam nella oramai famosa proiezione del 1999, ma anche due lavori da Hong Kong targati Johnnie To come The Heroic Trio ed Executioners, entrambi del 1993, e soprattutto Kawaita Hana (Pale Flower) del 1964, diretto da Masahiro Shinoda, davvero uno dei migliori lavori usciti dal decennio «in rivolta», quello dei sessanta, dal Sol Levante.