In una sera d’estate su un terrazzino accaldato una semi sconosciuta mi mostra un video musicale sul suo smartphone. Si vede poco e male, lo spazio è angusto, le immagini languide e sensuali. Lì per lì, confusa, butto l’occhio per qualche secondo, una trentina al massimo, giusto il tempo sufficiente per farmi una vaga idea e, in assenza di altre parole, dico che non mi piace. La semi sconosciuta me ne mostra altri, non dandosi per vinta, dimostrando una sapiente conoscenza del mondo della musica contemporanea (e delle cantanti autrici donne).

 
Qualche giorno dopo mi torna in mente che qualcuno mi aveva già parlato di una tale Figqua, Effe Kappa Esse qualcosa, un nome impronunciabile fatto tutto di consonanti, dai lineamenti tribali, dalle corde vocali straordinarie. L’ultimo tassello che mi conduce al vero nome della musicista arriva quando ricordo addirittura di aver sfogliato, forse dal parrucchiere, un magazine dove c’era un servizio fotografico su di lei di cui mi rimasero impressi solo due dettagli futili, puri pettegolezzi: il suo anello al naso, non un innocuo buco sulla narice quanto piuttosto un cerchietto ben visibile che, bucando le due froge, vola dondolando appeso sotto la punta del naso, sopra ad una bocca dalla vastità di un cratere primordiale.

 
Secondo particolare – gossip totale – è il suo fidanzamento con Robert Pattinson, il bellissimo vampiro della saga di Twilight, ormai sdoganato a film impegnati da Cronenberg (Cosmopolis, Maps to the stars), Corbijn (Life) e altri. Unendo i punti dall’uno al cento arrivo a lei, FKA Twigs, e inizio una ricerca in rete. Più che informazioni sulla sua professione, su quali siano le sue influenze musicali, sulla sua love affair, vado alla ricerca di QUEL video. Che presto ritrovo.

 
Papi Pacify.
Nero. Nero. Nero. Tutto nero. Fondo nero. Luce bianca laterale, di taglio. Il primo piano di lei nera, ma di tonalità chiara, non distoglie dalla sensualità che emettono i suoi lineamenti, carnivore labbra carnose, occhi sgranati in attesa dell’amore, del calore, del sesso. E quell’attesa verra ripagata, quella richiesta verrà assecondata. Entra in campo l’uomo di Neanderthal, un re zulù, un selvaggio pronto a tutto, nero come un tizzo. Il solo contatto visivo nel fotogramma delle due pelli scure nel buio del quadro squassa i confini del poligono, rompe gli argini, esonda senza pietà per nessuno. Lui è dietro di lei, grande il doppio il triplo, la sovrasta con una mole animalesca, da dinosauro, tarzanesca. Non la abbraccia, non la stringe. Non la sfiora nemmeno con una molecola del suo corpo. Ma… – perché un ma ci doveva essere, altrimenti la storia cadeva nel pozzo e moriva con noi – MA la circonda con un braccio dal retro e le mette una mano in bocca. Fast forward e rewind, avanti e indietro, dentro e fuori, ralenti di apertura e chiusura delle falangi.

 
Ecco, quest’azione, sicuramente già di per sé erotica, diventa nella sua arcaicità, nell’aura da superstiti al diluvio universale, questo evocativo atto di introdurre dita nel cavo orale di un essere umano, da tergo, senza nemmeno guardarsi negli occhi muta, si trasforma, si eleva a totale atto di concepimento, dolore piacere godere procreare, il sesso è sparito, non esiste più, non c’è più il coito, la penetrazione, la fellatio, il cunnilingus, la sodomia, è tutto ridotto allo stato zero dell’amore, della comunione, è tutto solo un immenso devastante corroborante orgasmo pandemico. Da questo momento in poi non esisterà nulla di più conturbante, lussurioso, inebriante che quelle dita infilate e assaporate con candida disperazione da quella bocca.

 
Ecco, io non lo so se la musica che accompagna quei cinque minuti di video mi piaccia o meno. Se comprerei mai un disco di FKA Twigs, se ho davvero capito che musica faccia. Però FKA un effetto su di me l’ha sortito (nel caso non si fosse capito): mi ha infiammata come un porcospino impazzito. Provare per credere.
sargentini@alice.it