Si apprende con profonda tristezza della scomparsa di Lorenzo Pellizzari. Era nato a Milano nel 1938. Per un periodo si ebbero comuni frequentazioni, scrivendo insieme alcuni libri che andavano a disvelare le velleità registiche e autoriali di alcuni grandi attori della commedia all’italiana come Tognazzi, Caprioli e Manfredi. Altri come Fabrizi, Celi per veti ereditari incrociati non poterono essere pubblicati lasciando spazio solo alle retrospettive. Si ricordano di lui le lunghe discussioni con Ugo Casiraghi e Alberto Farassino. In una di queste cui parteciparono Farassino e Adriano Apra’ la serrata discussione intorno al cinema di Rossellini divenne il libro di Adriano, In viaggio con Rossellini.

O ancora a casa di Tatti Sanguineti a ridere come matti guardando il televisore agganciato al muro protagonista di uno degli extra più esilaranti di un’edizione in dvd di Ultimo tango a Parigi. Ci furono altri incontri con Kezich, Suso Cecchi D’Amico, sono i primi che tornano a mente e che divennero altri libri. Per dirla alla Tullio ci furono molte avventure. Poi e molto prima della sua malattia così di punto in bianco le frequentazioni finirono: per l’appunto per progetti mancati, divergenze di vedute, un insieme di questioni avevano fatto prendere altre strade. Rarissime telefonate mantenevano labili contatti.

Lo si sapeva confinato nella sua casa – libreria ed un giorno si dovrà ripensare a queste case, alle raccolte che contenevano che originavano libri, retrospettive, collezioni e a quanti della «meglio» critica milanese e non solo passando di lì avevano prelevato ritagli, fotografie, interi dossier monografici per le loro ricerche e pubblicazioni.

Per un suo compleanno su Alias si decise di recensire uno dei suoi ultimi libri, con il quale iniziava l’estrema e proficua collaborazione con la casa editrice Artdigiland: Il mio Zavattini, di cui conservava gelosamente le lettere in una consolle insieme a molte di altri corrispondenti.

Polemista per costituzione, facile all’impennata irosa come all’intuizione critica inedita, in molti, compreso chi scrive, furono oggetto dei suoi strali.
Era nel suo stile, ereditato dal suo maestro Guido Aristarco, cui fu precoce lettore e come amava ripetere precoce redattore in Cinema Nuovo – gli dedicò un volume nella collana La nobile arte che dirigeva per le Edizioni Falsopiano – e a suo modo è stato pure lui un maestro della critica cinematografica.

Più che le collane, la rivista Cinema&Cinema, le retrospettive curate anche per la Biennale di Venezia, le scoperte e rivalutazioni, bisognerebbe allargare e proseguire i suoi contributi dedicati ai critici e ai modi di far critica, riuniti in un primo tempo in Critica alla critica e successivamente disseminati in postfazioni, articoli, interventi su riviste e in convegni.

Ma, ora non è tempo di analisi, molto meglio suggerire sommessamente e controcorrente, come gli sarebbe piaciuto, ai tanti critici 2.0 di andarsi a leggere i suoi libri.
Il suo capolavoro resta Cineromanzo. Il cinema italiano 1945-1953, uscì nel ’78 per Longanesi. Mai più ristampato, nonostante le insistenze.