Parlare di musica, discuterne con un interlocutore anche solo epistolare, oppure interrogarsi in modo assai più intimo sul senso che il linguaggio delle note riveste per ognuno non va considerato un semplice corollario all’ascolto né un optional finalizzato a aumentarne la fruibilità.

Può essere, invece, il segno tangibile e razionale del processo di coinvolgimento emotivo al quale chi ascolta, con vario grado di consapevolezza, si sottopone attraverso il consumo della musica, che esso passi attraverso il rito del concerto o lo studio finalizzato alla scrittura. Parlare di musica, allora, si può e si deve, specie oggi che la materia diventa, sulle pagine di molti giornali e nella percezione di massa, appannaggio unicamente della cronaca, con buona pace di chi vi si ostina a cercare spunti di riflessione critica.

Incursioni intellettuali

In questo senso, la recente pubblicazione del volume L’esperienza della musica, quarto titolo della collana «L’ospite ingrato» a cura del Centro Studi Franco Fortini, apre uno spiraglio nella prospettiva degli appassionati militanti, offrendo spunti di approfondimento stimolanti. Il libro si configura come una raccolta di scritti firmati da diciotto persone – musicisti, scrittori, storici, musicologi, filosofi – impegnate, in piena libertà e senza uno schema dato, a descrivere il proprio rapporto con la musica a partire da un tema o da un autore, non per forza un compositore.

La lettura del libro ribadisce – se mai ce ne fosse bisogno – quanto assidua sia stata e sia tuttora la capacità d’incursione nei territori non sempre comodi della musica da parte di intellettuali appartenenti a categorie anche molto diverse: vengono in mente per primi Rosenzweig (di cui è anche riportato un interessante approfondimento intorno al mercato discografico di quasi un secolo fa) e Fortini (citato ampiamente per il suo affettuoso e coltissimo scambio con il compositore Valentino Bucchi); ma pure Wittgenstein e Sanguineti, quest’ultimo ritratto nel saggio di Mila De Santis insieme a Luciano Berio.

L’esperienza della musica offre piani di lettura articolati. Da un lato, c’è la possibilità di approfondire argomenti assolutamente specifici: Oreste Bossini, dunque, restituisce alla memoria la figura di Wladimir Vogel, indagando sulla diffidenza italiana nei confronti del linguaggio dodecafonico; Stefano Moscadelli, con un deciso stacco di genere, dedica le proprie attenzioni a una bella canzone di De André, Prinçesa; mentre l’indimenticato Vittorio Rieser si sofferma, con la consueta ironia, sul mistero mistico che circonda l’incompiuta Arte della Fuga di Bach.

L’altra chiave di lettura del libro, però, rimanda a un angolo visuale più ampio, che rivela le relazioni del fenomeno musicale con il tessuto sociale di ieri e di oggi. Il legame è assodato, ma generalmente poco comunicato, considerazione che offre l’aggancio per introdurre un altro volume fondamentale, la Sociologia della musica di Max Weber (il professor Weber che giusto Rieser contrapponeva al signor Marx…) in una nuova edizione critica – la prima, in Italia – curata da Candida Felici per il Saggiatore.

La curatrice, musicista e musicologa, diversamente da quanto fece Enrico Fubini per la prima traduzione del 1961, ha scelto di suddividere la trattazione unica originale in capitoli e paragrafi, in questo modo agevolando la ricezione di un testo oggettivamente non sempre semplice.

Scritto da Weber a partire dal 1912 e lasciato incompiuto alla morte, nel 1920, questo trattato di Sociologia della musica (il titolo lo attribuì la vedova Marianne Weber) non va frainteso: non è una storia sociale del prodotto musicale, non almeno nel senso codificato da Hauser, in ambito artistico, e poi perseguito da tanti (come Raynor, per fare un solo esempio).

Oltre la tecnica

Interessanti sono i parallelismo tracciati da Weber tra lingua parlata, a diverse latitudini, ed espressione musicale, o il passaggio in cui descrive il percorso di razionalizzazione del linguaggio delle note, con la nascita di una professione sui generis, quella del musicista.

L’attenzione rivolta ai concetti di melodia e di armonia, alla misurazione degli intervalli di scrittura, al contrappunto e alla polifonia denotano una conoscenza tecnica ma non esauriscono nel tecnicismo la ragion d’essere della sostanza musicale che, al contrario, diventa sintomo, stimolo e immagine simbolica di un composito universo socio-culturale. Il che, in un’epoca come la nostra popolata di musicisti e di fruitori virtuali, suona strao rdinariamente interessante.