L’ordinanza del Tar Campania, che giovedì scorso ha sospeso l’applicazione della legge Severino – consentendo a Luigi de Magistris di tornare nella pienezza delle funzioni di sindaco di Napoli – e ha deciso di interpellare la Consulta sulla costituzionalità della sospensione del sindaco condannato per abuso d’ufficio solo in primo grado, è un’opportunità che Silvio Berlusconi non vuole farsi sfuggire. È anche l’occasione per scoprire dubbi e perplessità sacrosanti, ma mai ascoltati quando la legge cosiddetta «liste pulite» fu approvata come decreto legislativo nel dicembre 2012. Ieri il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini ha detto a Repubblica che «talune disposizioni eccessive forse meriterebbero una serena rivalutazione… probabilmente rimuovere un sindaco dopo una sentenza di primo grado per un reato come l’abuso d’ufficio è eccessivo». Purtroppo meno di due anni fa l’opinione delle commissioni di senato e camera – dove sedevano gli attuali vertici di via Arenula, ministro (Orlando, Pd) e viceministro (Costa, Ncd) della giustizia – fu opposta. Nell’approvare lo schema di decreto nessuno raccomandò prudenza al governo, casomai il contrario. Silvio Berlusconi ne ha pagato lo scotto, finendo per essere la prima e più illustre vittima delle norme sulla decadenza. Adesso, mentre insegue il fantasma del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’ex premier condannato definitivamente per frode fiscale immagina di approfittare dell’ordinanza scritta a Napoli in favore di de Magistris per mondarsi dalla sua incandidabilità.

Il sindaco spiega che il suo caso e quello dell’ex Cavaliere sono diversi. Ma quando la Corte costituzionale si esprimerà sulla legge Severino, e i berlusconiani ci avevano tentato invano ai tempi del voto al senato, la decisione riguarderà entrambi. È vero che la recente ordinanza napoletana riguarda il caso di una condanna non definitiva, ed è per questo che i giudici amministrativi sospettano «l’eccessivo sbilanciamento» della legge Severino «in favore della moralità dell’amministrazione pubblica rispetto all’ampio favor da riconoscersi al pieno esercizio del diritto soggettivo di elettorato passivo». Ma, spiega l’avvocato amministrativista Gianluigi Pellegrino «Il Tar fa acrobazie per non smentire precedenti pronunce del Consiglio di Stato e per tentare di limitare gli effetti della sua decisione al caso dei sindaci. Ma la questione di diritto è la stessa e riguarda Berlusconi. Anche Berlusconi come de Magistris sostiene che al tempo in cui avrebbe commesso il reato per il quale è stato penalmente condannato, non poteva sapere che sarebbe incorso nella decadenza, perché la legge Severino ancora non c’era. Se la Consulta dovesse accogliere il dubbio del Tar, e cioè che questo tipo di misure sono sanzionatorie e non possono essere retroattive, varrebbe per l’ex senatore quanto per il sindaco sospeso».

Secondo Pellegrino la ratio della legge Severino non è quella della sanzione retroattiva, ma della tutela successiva dell’interesse generale alla moralità delle istituzioni. «La disciplina pubblicistica italiana è piena di leggi simili. Ad esempio chi è stato condannato per mafia non può contrarre con l’amministrazione pubblica. Avete mai sentito un mafioso ricorrere non tanto contro la condanna penale ma perché non poteva sapere, nel momento in cui commetteva i suoi delitti, che sarebbe stato inibito dal firmare appalti?». Pellegrino concede che la legge Severino possa essere criticata, «legislatori umorali che vanno dietro il sentimento popolare non scrivono buone leggi», ma aggiunge che «finche c’è, va applicata». E per questo critica l’ordinanza del Tar che ha sospeso la sospensiva. «È profondamente sbagliata, ha censurato il prefetto di Napoli per aver fatto quello che gli imponeva la legge, e che avevano già fatto altre prefetture d’Italia. Un colpo alla certezza del diritto. Credo che il Consiglio di stato rimedierà». Per farlo il prefetto dovrà presentare ricorso. Ma potrebbero anche farlo i partiti all’opposizione di de Magistris, attraverso un comitato di cittadini.