Negli Stati uniti si vota oggi in un atmosfera irreale, con la Casa bianca blindata da barriere anti uomo, carovane trumpiste lanciate sui seggi e vetrine sbarrate di compensato: una stagione elettorale che culmina assomigliando più a quella di un paese centroamericano che non alla «democrazia faro» dell’occidente.

E le elezioni di oggi potrebbero facilmente fallire lo scopo di decidere le sorti del paese – almeno quello di farlo subito e con chiarezza. Perché Donald Trump si è adoperato per compromettere la verifica che i sondaggi danno a lui sfavorevole. Le sue arbitrarie accuse di «frode gigantesca» sono una bomba ad orologeria piazzata negli ingranaggi più delicati di una democrazia già sull’orlo del precipizio.

Un ordigno che assicura che nessun verdetto delle urne verrà accettato da tutte le parti. «Se perdiamo, sarà la conferma di brogli enormi , di un complotto dello stato profondo contro di voi» è andato ripetendo nelle ultime concitate settimane ai suoi sostenitori già alterati da una dieta costante di complottistica paranoia. Significa che solo un plebiscito potrà forse salvare il paese dal baratro costituzionale che rischia di spalancarsi domani, se Trump dovesse, come ha detto, dichiarare vittoria preventiva e intasare i tribunali di ricorsi per fermare gli scrutini.

In quattro anni il trumpismo ha dopotutto attaccato senza tregua le norme democratiche. Prepotente, poliziesco e xenofobo, il regime di Donald Trump ha sigillato i confini, stracciato trattati internazionali, dichiarato guerre commerciali, abrogato il diritto d’asilo, alzato il vessillo isolazionista e nazionalista. Rincuorati dalla demagogia del presidente, decine di milioni di americani sostengono oggi la prevaricazione espressa dal nazional populismo. Pescando nel passato più torbido della nazione il trumpismo ha militarizzato i fantasmi e le paure che agitano l’America bianca. E non c’è voluto molto per spingere un paese dalla storia violenta e razzista sull’orlo di una crisi di nervi che rischia ora di precipitare.

Dopo quattro anni della versione peggiore di sé, culminati nella catastrofica débacle della pandemia fuori controllo, milioni di Americani appoggiano il rancore espressi da Trump. Numeri certo sconcertanti, ma il regime rimane fondamentalmente minoritario: è assai probabile che Donald Trump perderà il voto popolare (come e forse peggio di 4 anni fa, quando ricevette quasi 3 milioni di voti in meno dell’avversaria).

Ancor più di allora, per mantenere il potere Trump dovrà quindi fare affidamento sul collegio elettorale e altri, più biechi, meccanismi di esautorazione: l’intimidazione, la soppressione del voto e il sabotaggio.

Dalla sua avrà il meccanismo dello Stato, piegato ai propri fini da una schiera di fedelissimi piazzati in cariche strategiche (dal ministro della giustizia alla Corte suprema), una parte delle forze dell’ordine corteggiate e plasmate in pretoriani e l’incognita delle milizie che hanno già dimostrato propensione allo squadrismo e fiducia cieca nel capo.

Il quarantacinquesimo presidente degli Stati uniti ha sobillato, offuscato millantato e incitato le parti più volatili ed invasate del suo paese armato fino ai denti.

Gli Usa giungono a questo capolinea dopo un accelerazione vertiginosa e con la complicità faustiana delle oligarchie che hanno cavalcato il demagogo per proteggere gli interessi di un liberismo crepuscolare e rapace.

Trump è stato strumento e catalizzatore di un movimento conservatore radicalizzato da Reagan e da allora sempre più sbilanciato verso integralismi religiosi e fanatismi politici. I nuovi ideologhi postulano ora apertamente una guerra alla modernità, l’abrogazione di diritti acquisiti da minoranze, poveri e donne.

Sbandierano un ritorno alle virtù dei padri fondatori che con la sacra carta originaria non avrebbero mai inteso costituire una democrazia ma una repubblica protetta dalle ondivaghe «tirannie della maggioranza».

La riscrittura orwelliana della storia è fondamentale per la prossima fase post-democratica di liberismo.

Si ristabilisce l’ordine eugenetico, si nega la scienza, si stabiliscono nuove tassonomie di cittadinanza (di clandestini, semi cittadini, lavoratori essenziali e non indispensabili allo sforzo produttivo).

La domanda urgente posta all’America oggi è: si è già passato il punto di non ritorno?

È una domanda che interessa ben più che la sola America e investe tutto l’occidente che ne condivide immaginario identitario, cattiva coscienza coloniale e meccanismi economici. Il virus nazionalpopulista è molto contagioso, e molto sintomatico, come dimostrano le pulsioni eugenetiche, negazionismo e darwinismo sociale dei trumpisti de noantri. Una riconferma di Trump oggi avrebbe ricadute mondiali.

Per questo, al di la dell’immane lavoro che rimarrebbe comunque da fare, come ripetono tra gli altri Bernie Sanders, Cornel West, Michael Moore, Angela Davis, Noam Chomsky e Alexandria Ocasio Cortez – e la maggior parte degli Americani – è assolutamente essenziale fermare il trumpismo. Qui. Oggi.