Tra il 1941 e il 1945 l’esperimento Wac Band 2 può aver luogo perché il jazz femminile (nero in particolare) è una realtà consolidatasi fin dalla metà degli anni Venti: durante la swing era, oltre alle formazioni delle citate Lil Hardin e Mary Lou Williams, si contano, infatti, decine di orchestre, all’epoca celeberrime, guidate e composte da sole donne (perlopiù bianche).
Il caso più eclatante riguarda le International Sweethearts of Rhythm, attive dal 1938 al 1949 (e poi con la reunion del 1980 e, dal 2004, in repertorio, grazie alla Kit McClure Band), arrivate a esibirsi all’Apollo di New York, al Regal di Chicago, all’Howard Theater di Washington; il Chicago Defender le definì tra le migliori performer mai ascoltate in città e, anni dopo, come la «maggior band femminile di tutta la swing era». Il gruppo si forma all’interno della Piney Woods Country Life School nel Mississippi; essendo una scuola per le classi povere è costituito non solo da nere, ma pure da asiatiche, native, latine, portoricane, caucasiche, per usare le diciture dell’epoche.
Tra i molti avvicendamenti (27 musiciste in tutto) c’è, tra le International, una bianca, Rosalind Roz Cron al sax alto, mentre a dirigere è Anna Mae Wilburn (canto, tromba, pianoforte); spiccano alla voce Big Maybelle (negli anni Cinquanta blues woman in proprio), al sax alto Zena Latto (in seguito leader dei Modern Moods) e oggi, novantaduenni, uniche rimaste: alla tromba Claire Bryant (giunta persino a suonare con Parker e Gillespie) e al trombone Helen Jones (infermiera dal dopoguerra alla pensione). Subiranno una quantità enorme di discriminazioni razziali, fino a dover aggiungere l’aggettivo «internazionale» quasi a giustificare la componente multietnica. Il loro ruolo pionieristico nell’ambito della lotta per i diritti civili verrà riconosciuto negli Usa negli anni Sessanta/Settanta dai movimenti di sinistra (femministi in primis).
Un’altra formazione notissima è The Hour Of Charm All-Girl Orchestra che però risulta la prima tutta femminile a essere diretta da un maschio, Phil Spitalny di origini ucraine, bambino prodigio, emigrato quindicenne negli Usa. È lui che gira il paese alla ricerca delle soliste migliori. Negli anni Quaranta l’ensemble includerà ben 34 musiciste.
E se a Chicago nel 1925 The Ingenues precorrono la moda delle orchestre femminil, tante sono le band che portano il nome delle direttrici a cominciare dalla cantante Blanche Calloway (alla testa dei Joy Boys), prima a dirigere un’orchestra di soli uomini a Baltimora, nonché musa ispiratrice del ben più noto fratello Cab Calloway a cui proprio la sorella spianerà la strada negli ambienti chicagoani.
Con le Ada Leonard’s All-American Girls, a dirigere c’è un’ex ballerina di burlesque; benché suonatrice di violoncello e pianoforte, Ada in pubblico non tocca alcuno strumento, preferendo condurre l’orchestra a passi di danza.
Funambolico il caso di Rita Rio’s & Her All-Girl Orchestra; iscritta all’anagrafe come Eunice Westmoreland adotterà una sfilza di nomi d’arte facendosi conoscere via via come Dona Drake, Una Velon, Una Villon, Rita Novella, Rita Show e, come la messicana Rita Rio.
Spetta invece alla Joy Cayler and Her All-Girl Orchestra la tournée più lontana da casa; prima però di avere l’onore di far suonare l’orchestra davanti alle truppe in oriente nel 1951 durante la guerra di Corea, Joy Cayler si esibisce sedicenne nei localini della natia Denver fondando infine nel 1974 la Joy Cayler’s Brass Beat con orchestrali giovanissimi.
Tra New Jersey e New York, la Dolly Dawn And Her Dawn Patrol nasce ufficialmente nel 1941 sulle ceneri della George Hall’s Hotel Taft Orchestra dove la giovane vocalist (al secolo Theresa Maria Stabile di origini italiane) si mette in mostra con uno stile personale (apprezzato persino da Ella Fitzgerald che dichiarerà di essersi a lei ispirata).
Diretta antagonista della Hour Of Charm All-Girl Orchestra resta in quegli anni Ina Ray Hutton And Her Melodears che risponde con l’avvenente leader, formidabile danzatrice di tip-tap. Anche Ina (nata Odessa Cowan) è vittima dei pregiudizi razziali, schedata, ai decennali censimenti, via via come «mulatto», «negro», «white».
Prima la Schmitz Sisters Family Orchestra, poi la sensuale Frances Carroll & The Coquettes, quindi la Hour of Charm Orchestra, infine, nei Cinquanta, Viola and her Seventeen Drums, ospitano la straordinaria batterista Viola Smith che inventa un inconfondibile stile percussionistico grazie al poderoso drum set con 17 tamburi, in particolare 2 tom-tom da 16 pollici all’altezza delle spalle. Ancora oggi all’età di 102 suona con la Forever Young Band!
Rilevante anche la polistrumentista Valaida Show. Soprannominata Little Louis, in quanto miglior trombettista dal vivo dopo Armstrong, Valaida è altresì anticipatrice dello stile world sia perché indossa in concerto abiti etnici sia perché portare il jazz in giro per il mondo. C’è infine anche un’inglese, Ivy Benson, al sax alto e al clarinetto, che affianca il proprio nome a And Her All-Girl Band, suonando dal vivo e per la Bbc – durante la guerra – soprattutto per le truppe alleate; via via perderà per strada diverse musiciste che si fidanzano con i soldati americani che poi sposeranno negli Usa. L’orchestra fra alti e bassi continua sino al 1982, e ancora poco prima di morire Benson si esibisce nei club all’organo elettrico.
Non si può dimenticare la chicagoana Lovie Austin, prima strumentista jazz e blues in assoluto; attiva pure nel canto, nell’arrangiamento, nella composizione – soprattutto negli anni Venti alla testa dei suoi Blues Serenaders (includendo geniacci come Tommy Ladnier, Kid Ory, Johnny Dodds) – lascia la musica suonata per dirigere il Monogram Theater affiliato alla Toba (Theatre Owners Booking Association) impegnandosi, durante la guerra, nella formazione degli artisti. Di queste all-girl band oggi restano pochissime veterane, diverse antologie discografiche, foto glamour e curiosi filmati in bianco e nero (tratti spesso da lungometraggi comici, visionabili in rete), dove però le afroamericane sono assenti per i soliti motivi razzisti. Sul piano musicale ogni big band s’ispira più o meno tacitamente a modelli consolidati, da Duke Ellington a Count Basie, da Benny Goodman a Tommy Dorsey, benché la sensibilità tutta femminile nel dirigere, nell’improvvisare, nello scrivere e nel partecipare a una grande orchestra sia un oggetto di studio ancora da sviluppare; per ulteriori approfondimenti c’è il bel documentario The Girls In The Band (2012) di Judy Chaikin, purtroppo mai uscito in Itali, ma di recente riprodotto in Dvd e in streaming.