Enrico Letta si presenterà in parlamento il prossimo 11 dicembre. Per una nuova fiducia e, augurabilmente, con l’illustrazione e il chiarimento dei, sui principali obiettivi del governo. Certo le misure contro la crisi economica e la legge elettorale. Speriamo che lo spirito santo laico voglia assistere l’esecutivo delle piccole intese. Bene sarebbe chiudere presto questa tragi-commedia , restituendo la parola ai cittadini. Tant’è. Tuttavia, dopo la decadenza di Berlusconi e l’uscita rumorosa di Forza Italia dalla maggioranza, non ci sono più alibi o scuse di sorta per non affrontare il dannato tema del conflitto di interessi e della riforma del sistema radiotelevisivo.

Tra l’altro, con quale faccia si vorrebbe presiedere l’agognato semestre italiano senza uno straccio di nuova regolamentazione? E’ chiaro che peggio del Bel paese in Europa c’è solo l’Ungheria? Quanto a libertà di informazione. E la Grecia per ciò che concerne l’Agenda digitale. E’ ancora in vigore la legge Gasparri del 2004, integralmente recepita dal Testo unico delle radiodiffusioni dell’anno seguente: la bibbia mediatica del berlusconismo. Si vuole finalmente fare un «taglio» utile? Così, è mai possibile che ci si avvicini alla scadenza della concessione tra lo stato e la Rai (2016) privi di un vero progetto di riforma che rilanci il servizio pubblico come bene comune?

Le associazioni «Articolo 21» e «Move on» hanno proposte serie che potrebbero far ripartire il dibattito. Del resto, senza una normativa adeguata che eviti il sostegno privilegiato, la stessa discussione sulla legge elettorale diventa monca. La società dell’informazione e della conoscenza ha bisogno di fondamenta stabili, da trovare nella tutela del pluralismo contro i trust, nell’accesso libero e non discriminatorio alla rete, nell’apertura del software contro le logiche dell’egoismo proprietario, nella riscrittura dal lato della società dei compiti della Rai.

E’ lecito attendersi qualche risposta non dilatoria da parte di un governo che finora ha glissato sull’intera materia. Con la scusa di Berlusconi, le cui aziende in effetti hanno avuto ottime performance borsistiche nei mesi seguiti alle ultime elezioni.

Ora, in assenza del Pifferaio di Arcore, si vuole andare avanti ancora così? Significherebbe che il conflitto di interessi è una ideologia, utile e comoda a molti, per un motivo o per un altro. Ci si attende, poi, di capire a che punto è il lavoro sul mercato della pubblicità e sulla rideterminazione del sistema integrato della comunicazione (Sic) che spetta all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Già. Quest’ultima tende a prendersi ruoli che non le competerebbero e a rinviare ciò per cui è nata, la sua ontologia. E, però, a toccare la concentrazione pubblicitaria si prende la scossa. Ad ergersi a difensori dei poteri forti contro gli internauti del mare della rete, facendoli affogare, si conquistano benemerenze. Il riferimento è al regolamento sul copyright on line che, a dispetto dei santi, sembra prossimo al varo. «Chiacchiere e distintivo», secondo la memorabile battuta di De Niro ne «Gli intoccabili».

Mentre la stampa non legata ai grandi gruppi rischia di morire, le emittenti locali agonizzano, la velocità di connessione in rete ci colloca appena sopra il Ruanda. E poi ci si chiede perché il gradimento delle istituzioni è basso, bassissimo.