Le elezioni presidenziali, dalle quali depende il futuro politico del Venezuela, avranno luogo il 22 aprile. La data è stata annunciata mercoledì sera dal Consiglio elettorale del Venezuela dopo che l’opposizione aveva di fatto rotto le trattative con rappresentanti del governo, iniziate più di un mese fa a Santo Domingo.

IL PRESIDENTE NICOLÁS MADURO ha reagito duramente alle dichiarazioni del capo delegazione della Tavola dell’unità democratica (Mud), Julio Borges, di voler presentare una nuova lista di richieste, dopo che era stato concordato un testo comune approvato dai mediatori internazionali, l’ex premier spagnolo Zapatero e il presidente della Repubblica dominicana, Danilo Medina. Per il capo di stato venezuelano, le nuove proposte erano irricevibili e dovute alle «forti pressioni degli Stati uniti», che hanno già organizzato un boicottaggio internazionale a tali elezioni. Ieri anche l’Unione europea ha votato l’inasprimento delle sanzioni contro Caracas.

Maduro ha simbolicamente firmato l’accordo raggiunto la scorsa settimana con l’opposizione e poi respinto dalla medesima, affermando che «tiene aperta la porta delle trattative» per dar vita a elezioni in un clima «di pace e concordia». Ma nessuno si fa illusioni. Il dado è tratto per un nuovo duro scontro, che vede come attore diretto gli Stati uniti di Trump.

LO HA MESSO IN CHIARO anche mercoledì il segretario di Stato Rex Tillerson, in Giamaica alla fine di un tour sudamericano che lo ha portato in Messico, Argentina, Perù e Colombia. Avuto un accordo di massima con le destre latinoamericane per il via a una campagna di boicottaggio del petrolio venezuelano, il capo della diplomazia Usa ha voluto sondare le reazioni nel Golfo dei Caraibi, dove l’impatto di tali sanzioni sarà più duro perché con la missione Petrocaribe Caracas fornisce greggio a prezzi assolutamente preferenziali a una serie di Paesi dei Caraibi.
Già prima di iniziare la sua missione latinoamericana Tillerson, durante un discorso in Texas aveva annunciato che quest’anno la Casa bianca  tornerà a dare priorità all’America latina. E per farlo intende riattualizzare la  mai peraltro abbandonata «dottrina Monroe» con la quale, un paio di secoli fa, il presidente statunitense aveva intimato alle potenze europee un «giù le mani dall’America latina».

IL NOVECENTO HA DIMOSTRATO senza ombra di dubbi che cosa Washington intende con lo slogan «i problemi delle Americhe devono essere risolti dagli americani», trasformando il subcontinente latinoamericano nel “patio di casa”. Ora, in un momento di difficoltà del fronte bolivariano (Venezuela, Ecuador, Bolivia), sotto pressione per la forte penetrazione della Cina e il rinnovato interesse della Russia, gli Usa rispolverano la dottrina Monroe. Che di fatto fa rima con l’America first di Trump.

NEL MIRINO del presidente Usa sono in primis Venezuela e Cuba. Contro quest’ultima, è da ieri attiva una speciale task force che dovrà stabilire i mezzi per introdurre nell’isola un web controllato dagli Usa. Internet infatti viene vista come il canale prioritario per giungere ai giovani cubani e del resto in precedenza vi erano già stati vari tentativi per introdurre nell’isola una sorta di cavallo di Troia informatico.

CONTRO IL VENEZUELA le minacce sono più dure e dirette. Boicottare il petrolio significa dare un colpo durissimo all’economia e dunque al governo bolivariano. Non solo, aumentano in modo preoccupante i riferimenti a un possibile intervento militare statunitense. Linea interventista che incontra forti opposizioni in America latina, specie in Brasile, dove i militari vedono con malcelato sospetto le aspirazioni Usa di controllare l’Amazzonia.

A FARE LE SPESE dell’intransigenza statunitense in Venezuela sarà per prima l’opposizione, che si presenta molto indebolita e divisa (una piccola parte della base crede nella via elettorale). E senza una figura di spicco che possa competere con Maduro. Il quale ha favorito una campagna elettorale rapida, dal 2 al 19 aprile. Il Partito socialista unificato e i suoi alleati, come il recentemente formato Somos Venezuela, guidato dalla presidente della Assemblea nazionale costituente Delcy Rodríguez, hanno indicato lui come candidato.