Il governo ungherese è tra quelli sospettati di usare uno degli strumenti più efficaci attualmente a disposizione per silenziare l’opposizione politica. Si tratta di Pegasus, un software creato dall’azienda israeliana NSO Group che può penetrare i sistemi di miliardi di telefoni in tutto il mondo senza ricorrere a link sospetti.Secondo l’inchiesta del progetto Pegasus, il partito governativo Fidesz sta utilizzando questo software per spiare giornalisti indipendenti, proprietari di testate, altrettanto indipendenti, avvocati ed esponenti dell’opposizione.

L’esecutivo ha prontamente risposto alle accuse attraverso l’ufficio del primo ministro Viktor Orbán. Secondo il medesimo «in Ungheria gli organi statali autorizzati a utilizzare strumenti in incognito sono regolarmente monitorati da istituzioni governative e non governative». A questa dichiarazione ha fatto seguito una domanda provocatoria: «Avete rivolto le stesse domande ai governi degli Stati Uniti d’America, del Regno Unito, della Germania e della Francia?».
In altre parole il governo ungherese risponde per le rime come volesse dire: «Vi siete proprio fissati con noi. Vedete anche un po’ quello che succede negli altri paesi, in quelli che passano per essere campioni di democrazia». Sta di fatto che l’Ipi (International Press Institute), ha di recente caldeggiato un’inchiesta urgente per far luce sulle segnalazioni riguardanti attacchi «spionistici» a livello informatico contro giornalisti investigativi e comunque indipendenti, con l’uso della tecnologia messa a punto dall’azienda israeliana.

La richiesta di un’indagine accurata ha avuto luogo in seguito alle rivelazioni di un consorzio internazionale di soggetti mediatici che avrebbe rivelato l’uso illegale di questo sistema, da parte dei servizi segreti ungheresi, contro almeno cinque giornalisti, attivisti, legali e membri della già citata opposizione politica.

Finora l’inchiesta internazionale avrebbe messo in luce il fatto che i telefoni cellulari di due giornalisti ungheresi sono stati fra quelli infettati dal sistema in questione che, come già precisato, consente l’accesso a messaggi, foto, posta elettronica, chiamate e microfoni. Uno dei giornalisti ungheresi presi di mira sarebbe Szabolcs Panyi, il cui telefono, secondo analisi effettuate da Amnesty International’s Security Lab, sarebbe stato più volte infettato in un periodo di sette mesi, nel 2019, dopo che il medesimo aveva chiesto dei commenti a funzionari governativi. Avrebbe subito attacchi di questo genere anche il suo collega András Szabó.

Queste accuse non fanno altro che sottolineare il problema della libertà di stampa nel paese. Tra l’altro, l’Ipi è stato fra le organizzazioni che alla fine del 2019, dopo un sopralluogo a Budapest, ha espresso un giudizio molto severo sulla politica del governo ungherese in questo ambito. Un giudizio più che valido anche oggi.