Tra volti sorridenti e mazzi di fiori, accompagnato dal sottosegretario qatariota agli esteri Khaled al-Attiya, ieri Moaz al Khatib ha inaugurato a Doha l’ambasciata della Coalizione Nazionale siriana (CN). Ma il nastro che al Khatib ha tagliato ieri non inaugura soltanto la prima simbolica «sede diplomatica» dell’opposizione – che due giorni fa ha preso il posto di Damasco in seno alla Lega araba –, perchè sancisce anche la spaccatura territoriale oltre che politica della Siria: con la parte nord del paese nelle mani dei ribelli, riconosciuta dalle petromonarchie del Golfo e, di fatto, anche da Stati Uniti e da alcuni paesi europei; e l’altra ancora sotto il controllo del governo centrale sostenuta da Russia, Iran, Iraq, Algeria e Libano (almeno fino a quando del governo di Beirut farà parte il movimento sciita Hezbollah). E’ un siluro contro una soluzione negoziata e l’accettazione della supremazia del Qatar che ha scelto per la Siria un’ulteriore escalation della guerra civile, dei devastanti bombardamenti aerei governativi, degli attentati dei jihadisti a Damasco e in altre città: il bagno di sangue costato sino ad oggi la vita a 70mila siriani.

L’inaugurazione della «sede diplomatica» è avvenuta mentre, sempre a Doha, si svolgeva l’ultima giornata del vertice annuale della Lega araba, molto criticato per i suoi esiti da Mosca e dall’Iran. La Russia ha definito «illegale e incongruente» la decisione di assegnare all’opposizione il seggio spettante a Damasco. «A Doha è stato intrapreso un altro passo contro la Siria. Le decisioni assunte in quella sede a prescindere dalle obiezioni sollevate da alcuni Stati membri, lasciano quanto meno perplessi, a dire poco», hanno commentato a Mosca. Da parte russa si sottolinea che «il governo della Repubblica araba siriana è stato e rimane il rappresentante legittimo dello Stato membro dell’Onu. Di fatto si incoraggiano apertamente quelle Potenze che continuano a scommettere su una soluzione militare in Siria». Per l’Iran, l’alleato più stretto di Bashar Assad, il vertice di Doha segnerà la «fine del ruolo della Lega Araba nella regione».

Intanto non è tardata ad arrivare la reazione di Israele alla proposta fatta due giorni fa dall’emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al-Thani, in apertura del vertice arabo, della creazione di un fondo di un miliardo di dollari per i palestinesi di Gerusalemme. Soldi che, secondo l’emiro, serviranno a preservare il carattere islamico della città e a contenere, ha spiegato, «l’ebraicizzazione» di Gerusalemme, anche della parte araba (Est) occupata da Israele quasi 46 anni fa. Un’iniziativa che sarebbe priva di logica per il portavoce del ministero degli esteri israeliano Yigal Palmor. «E’ come sollevare un’obiezione alla natura cattolica del Vaticano o all’islamizzazione della Mecca», ha detto per sottolineare il legame tra gli ebrei e Gerusalemme. Israele non ha alcun intenzione di restituire il settore arabo della città ai palestinesi che intendono proclamarlo capitale di un loro futuro Stato indipendente. Nei Territori occupati le reazioni alla proposta di al Thani sono state ben diverse. Il presidente dell’Anp Abu Mazen l’ha accolta con favore e parole di elogio sono giunte anche dal primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh. Ma non manca ci storce il naso, come Ghassan Shakaa, del Comitato esecutivo dell’Olp. «Aiuti simili sono stati promessi anche in passato dai leader arabi – ha ricordato Shakaa – ma i soldi poi non sono mai arrivati».