La destra venezuelana si diverte con le date e con le crasi e diffonde l’etichetta « #18F in Argenzuela»: per dire che, nell’Argentina di Cristina Kirchner e nel Venezuela di Nicolas Maduro vige lo stesso tipo di «regime» e di repressione. Il 18 febbraio, mentre l’opposizione argentina è andata in piazza contro il governo accusandolo di aver ucciso il pm Nisman (morto il 18 gennaio), quella venezuelana ha protestato per la detenzione di Leopoldo Lopez. Il leader della destra, a capo del partito Voluntad Popular, è in carcere dal 18 febbraio 2014 e il suo processo è in corso.

E’ accusato di aver diretto le violenze di piazza per far cadere il governo Maduro a colpi di guarimbas (barricate di chiodi e detriti e fil di ferro tesi come trappole da un lato all’altro della strada). Violenze che hanno provocato 43 morti e oltre 800 feriti. Uno schema organizzato da alcuni volti noti del golpismo venezuelano come l’ex deputata Maria Corina Machado e il sindaco della Gran Caracas Antonio Ledezma e dallo stesso Lopez. Più defilato, Henrique Capriles leader di Primero Justicia, il candidato dell’opposizione sconfitto alle presidenziali prima da Chavez e poi da Maduro.

In piazza per il suo antico sodale Lopez (con cui nel golpe contro Chavez del 2002 ha assaltato l’ambasciata cubana), Capriles non c’era: ha solo inviato un twitter. Nel municipio di Chacao, governato dall’opposizione e sede di violente proteste l’anno scorso, c’erano invece Machado e Ledezma. Intorno, gruppetti di incappucciati hanno cercato di riaccendere le guarimbas, ma con pochissimo seguito. In vista delle elezioni parlamentari di dicembre, la destra in doppiopetto cerca di smarcarsi dalle aree eversive, ma badando a non perderne l’appoggio. Intanto, cerca (e ottiene) aiuto all’estero, condanne e prese di posizione contro le «violazioni ai diritti umani». L’appoggio principale arriva dalle destre internazionali e dagli Usa. Il governo spagnolo ha protestato per le «pressioni» compiute da Maduro su alcuni imprenditori madrileni affinché fornissero un’immagine positiva del Venezuela.

In base alle confessioni di alcuni ufficiali dell’aviazione, scoperti mentre organizzavano un golpe, sarebbe stato preparato anche un piano per uccidere Lopez in carcere e per scatenare nuove violenze. I pentiti hanno chiamato in causa il deputato Julio Borges, coordinatore nazionale di Voluntad Popular. L’interessato ha smentito ed ha accusato il governo di voler stornare l’attenzione dai problemi del paese. Problemi che la leadership chavista, senza negare limiti ed errori, attribuisce a una «guerra economica» sferrata dai poteri forti, dentro e fuori il paese: a un tentativo di riprendere il controllo sulla petrolifera di stato Pdvsa e sui proventi del petrolio, che finanziano i progetti sociali rivolti ai settori popolari. Maduro ha approvato una nuova politica nel controllo dei cambi per stroncare la fuga di capitali e il mercato del dollaro parallelo.

A fronte dell’aumento dei salari e delle pensioni, il grosso dei prodotti base è rimasto a prezzi calmierati, mentre alcuni beni «di lusso» sono stati aumentati: per rispondere alle richieste del settore privato e disinnescare il sabotaggio. Misure che fanno storcere il naso alla sinistra chavista più radicale, che vorrebbe spingere di più sul pedale delle nazionalizzazioni, delle comuni autogestite e del socialismo. E che vorrebbe pareggiare i conti con il golpismo strisciante.