Trova l’intruso, questo è il gioco che sembra proporre la programmazione operistica londinese dell’ultimo fine settimana di settembre. Nulla è fuori posto, ma non tutto è come sembra, a partire dalla distribuzione dell’Orphée et Eurydice di Gluck, proposta dalla Royal Opera House nella versione, di ascolto assai infrequente, scritta per l’Opéra di Parigi nel 1774. Occasione di un successo trionfale per Gluck, che aveva rivisto la partitura, affidando la parte di Orfeo a un haute-contre, il tenore acuto tipico della tradizione barocca francese. Ma non era la sola presenza di Juan Diego Florez,la cui personificazione del ruolo è apparsa sotto ogni aspetto vicina alla vera perfezione, a rendere l’esecuzione speciale.

 
John Eliot Gardiner, con i suoi English Baroque Soloists e il Monteverdi Choir, è fra gli artisti che hanno offerto negli ultimi decenni i contributi più significativi alla storia dell’interpretazione di Gluck; è stata un’emozione poterli non solo ascoltare, ma vedere su una piattaforma mobile sempre al centro della scena, come previsto dall’allestimento, mentre offrivano una lettura sbalorditiva, vibrante quanto asciutta e precisa per dizione, fraseggio e intenzioni drammatiche.
Altro punto di forza era la regia-coreografia di Hofesh Schechter, curata insieme a John Fulljames, con momenti davvero toccanti nella discesa agli inferi e nel finale, oltre che nei numeri di danza, eseguiti integralmente. Schechter rifiuta in parte il finale lieto lasciando infine Orfeo solo, piangente davanti a un simulacro in fiamme di una Euridice nuovamente perduta fra le ombre del coro e dei danzatori – magnifici- della compagnia.

 
Di ottimo rilievo per presenza e canto Lucy Crowe e Amanda Forsythe, rispettivamente Euridice e Amore. Successo per tutti e trionfo meritato per Florez e Gardiner. Repliche fino a domani, 3 ottobre.

 

-®BC20150910_ORPHEEetEURYDICE_60 LUCY CROWE AS EURYDICE (C) ROH. PHOTOGRAPHER BILL COOPER - Copy (2) - Copy

A poche centinaia di metri l’English National Opera si impegnava in un doppio revival anche stavolta con un chiaro «intruso» linguistico: sabato scorso è tornata infatti al Coliseum (in scena fino al 20 ottobre) Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Sostakovic nella traduzione inglese di David Poutney, visto che l’ENO presenta in inglese tutte le opere del cartellone (perché da noi non si fa?).

 
L’elettrizzante spettacolo di Dmitri Tcherniakov era a sua volta un audace revival dello spettacolo nato nel 2008 a Düsseldorf, e riproposto in coproduzione con l’Opera de Lyon (in russo, nel 2016). Scelta felicissima visto che il regista russo riesce mirabilmente a visualizzare sulla scena la forza tutta novecentesca della rilettura di Sostakovic sulla novella di Leskov, il cui cuore russo tradizionale è però salvaguardato in palcoscenico in una stanza «segreta» al centro della fredda fabbrica in cui si ambienta la vicenda: una stanza foderata di caldi tappeti, come in una casa di mercanti della vecchia Mosca, un tocco geniale.

 
Atrocemente claustrofobico l’atto finale, con la landa siberiana immaginata solo all’esterno di uno squallido cubicolo di prigione dove si compie la discesa agli inferi; Katerina Ismailova, abbandonata da Sergej, trova lì la morte insieme a quella della sua rivale, la detenuta Sonyetcka. Al posto del lago gelato, una marmaglia di secondini pesta le due donne a morte, cancellando quell’unica seppur desolante consolazione che la natura invernale regalava alla scena.

 
Mark Wigglesworth, il nuovo direttore musicale, ha diretto l’English National Opera Orchestra con intensità e cura estrema, trovando un equilibrio sempre coerente fra i tratti di struggente malinconia e le aspre esplosioni sonore, inclusa la scena erotica fra Sergej e Katerina, prevista nella partitura originale del 1934.
Sostakovic dovette emendare l’opera dopo le violente critiche della «Pravda», attribuite allo stesso Stalin, le quali, devastarono la vita dell’artista allontanandolo per sempre dal teatro musicale. Patricia Racette si è lanciata in una sfida ai limiti dei suoi mezzi vocali ma ne è uscita vincitrice. Splendidamente in parte John Daszak come Sergej e John Hayward come Boris, e nel complesso molto efficace tutto il cast. Successo pieno e meritatissimo.