A sostenere che «le elezioni senza Lula sono una frode» – lo slogan ripetuto da milioni di persone in Brasile – non sono più solo le forze progressiste a livello locale e internazionale. Un pronunciamento in tal senso, è venuto nientedimeno che dal Comitato per i diritti umani delle Nazioni unite che ha sollecitato ufficialmente le autorità brasiliane ad ammettere la candidatura di Lula alla presidenza del Paese.

L’organismo Onu ha chiesto, in particolare, al governo di non impedire che l’ex presidente concorra alle elezioni «fino a quando tutti i ricorsi contro la sua condanna non siano esauriti» e di adottare «tutte le misure necessarie» per garantire, dalla prigione, l’esercizio dei suoi diritti politici, autorizzando «un accesso appropriato ai media e ai membri del suo partito».

E benché la stampa brasiliana abbia fatto di tutto per nascondere la notizia e le forze golpiste abbiano cercato in ogni modo di attenuare la portata del pronunciamento, è evidente che un altro grosso problema si pone ora per chi dovrà decidere – entro il 17 settembre – sull’ammissibilità e meno della candidatura di Lula. Che, a completare un quadro di certo poco confortante per l’opposizione, ha raggiunto – secondo un sondaggio divulgato ieri dall’istituto Mda – addirittura il 37,3% delle intenzioni di voto. Una percentuale che, superando quella di tutti gli altri candidati messi insieme, gli assicurerebbe la vittoria al primo turno.

L’attenzione è puntata ora sul ministro filogolpista Luis Roberto Barroso, relatore del caso Lula presso il Tribunale Superiore Elettorale, chiamato a sciogliere il dilemma tra gli interessi della Rede Globo da un lato e il rispetto della giurisdizione internazionale dall’altro. Un dilemma particolarmente spinoso, considerando che, in un articolo del 2010 sulla «dignità della persona nel diritto costituzionale contemporaneo», era lo stesso Barroso a definire i trattati internazionali sui diritti umani «indiscutibilmente vincolanti dal punto di vista giuridico».

E che al riguardo non ci siano dubbi lo ha spiegato la stessa vicepresidente del Comitato per i diritti umani Sarah Cleveland: «Il Comitato non è una corte, per cui non si tratta di un ordine giudiziario. Ma il Brasile, in quanto firmatario dei trattati internazionali, ha l’obbligo legale di rispettare tale disposizione».

E lo stesso ha ribadito l’ex ministro degli Esteri di Lula, Celso Amorim, che ha ricordato che nel 2009 il Brasile ha firmato un protocollo che riconosce la giurisdizione dell’organismo Onu e l’obbligatorietà delle sue decisioni: violarlo, ha sottolineato, comporterebbe «una totale rottura con la legalità internazionale e rappresenterebbe una decisione gravissima».

E se è di certo possibile, se non probabile, che la decisione dell’Onu venga comunque ignorata, è evidente che a quel punto la legittimità delle elezioni verrebbe messa in discussione a livello internazionale. Con ricadute pesantissime sull’immagine del Brasile