«Il voto è rimandato a nuova data per altre consultazioni» ha annunciato ieri il portavoce del Segretario Generale, Stephane Dujarric. Le manovre diplomatiche fervono tra i corridoi dell’Onu in previsione del voto al Consiglio di Sicurezza sul futuro del Sahara Occidentale prevista per lo scorso 25 aprile e rinviata nei prossimi giorni. La risoluzione proposta dalla portavoce Usa all’Onu, Nikky Halley, è stata firmata da Spagna, Francia, Regno unito e Russia e punta a «riprendere i negoziati senza preclusioni per giungere ad una soluzione politica accettabile verso l’autodeterminazione del popolo saharawi».

Un testo che non è particolarmente piaciuto al Marocco. In queste ore, infatti, lo stesso ministro degli esteri di Rabat, Nasser Bourita, ha dichiarato di non essere soddisfatto della proposta americana visto che «non si condannano in alcuna maniera le incursioni del Fronte Polisario (organizzazione politica che rappresenta il popolo saharawi, ndr) nella zona cuscinetto di Guerguerat e non si prende in considerazione il ruolo dell’Algeria».

Dichiarazioni che hanno spinto il Marocco a richiedere un rinvio della risoluzione, attraverso l’alleato francese nel CdS, e che riprendono la recente campagna di accuse dell’ultimo mese da parte del governo di Rabat nei confronti del Polisario e del governo algerino sostenitore delle istanze indipendentiste del popolo saharawi.

Accuse e minacce che avevano incrinato ulteriormente i non facili rapporti tra Algeri e Rabat. Alle dichiarazioni di Mohammed VI, che, ad inizio aprile, aveva affermato «Algeri finanzia, ospita, arma e sostiene diplomaticamente il Polisario», aveva risposto il portavoce del ministro degli esteri algerino, Abdelaziz Benali Cherif, dicendo che «le uniche due parti in causa sono il Marocco ed il Fronte Polisario, mentre l’Algeria e la Mauritania non hanno nessun ruolo, se non marginale, nel processo di pace».

Se da una parte Rabat non è soddisfatta, dall’altra lo stesso Polisario sembra poco convinto delle recenti evoluzioni diplomatiche. Molto probabilmente l’Onu prolungherà la Minurso per la continuazione dei colloqui di pace dell’emissario per il Sahara Occidentale, il tedesco Horst Koehler, e richiederà, ad entrambe le parti, di «astenersi da una possibile escalation militare nell’area». Verrà fatta menzione, anche se come opzione, della possibilità di indire un referendum per l’autodeterminazione del popolo saharawi, come richiesto dal Polisario, mentre, al contrario, non si terrà conto delle continue richieste relative al rispetto dei diritti umani da parte di Rabat.

Nella giornata di ieri, oltre alla lettera di accademici europei spedita a Macron sulle responsabilità francesi, è stato il Forum d’azione per il Sahara Occidentale (Wsaf) – che raggruppa oltre 90 organizzazioni in circa 40 paesi – ad inviare una lettera al Cds dell’Onu dove si richiede di “proteggere i diritti dell’Uomo del popolo saharawi e di mettere fine all’impunità marocchina nei territori occupati del Sahara Occidentale”.

Il Forum fa riferimento alle centinaia di accuse e denunce da parte dei prigionieri politici saharawi, come i 23 del campo di Gdeim Izik condannati all’ergastolo e torturati senza una precisa accusa, o al recente sciopero della fame portato avanti da Claude Mangin Asfari, cittadina francese, alla quale è stato negato, per la quarta volta, di poter vedere il marito Naama Asfari, detenuto nelle carceri marocchine.

Il Fronte Polisario, pur proclamandosi fiducioso nel processo di pace, aspetta il testo finale della risoluzione e si dichiara «pronto a qualsiasi eventualità a causa del possibile veto della Francia, principale partner economico e politico di Rabat», secondo le parole di Abdelkader Taleb Omar, ambasciatore della Rasd (Repubblica araba democratica saharawi) in Algeria.

In un’intervista rilasciata a Tsa ha affermato che «se non ci sarà una risoluzione convincente e dei negoziati seri, per noi il ritorno all’opzione militare è molto probabile, visto che in passato è stato possibile solo così convincere il Marocco a sedersi al tavolo delle trattative (1991) e forse è l’unica opzione percorribile, il nostro popolo vive da 40 anni nei campi profughi e vuole finalmente decidere per la propria autodeterminazione».