La verità che tutti conoscono continua a riemergere. Grazie anche ad Agnes Callamard. Nel suo rapporto, diffuso ieri, il Relatore speciale dell’Onu sulle esecuzioni extragiudiziali, ribadendo quanto aveva riferito a inizio anno, scrive di aver raccolto «prove credibili» che indicano come l’erede al trono dell’Arabia saudita, Mohammed bin Salman, sia «individualmente responsabile», assieme ad altri funzionari di alto livello di Riyadh, del brutale assassinio, avvenuto lo scorso 2 ottobre, del giornalista saudita Jamal Khashoggi nel consolato del suo paese a Istanbul. Queste prove, ha aggiunto, meritano «ulteriori indagini da parte di una squadra d’inquirenti indipendente e imparziale».

Inutile farsi illusioni. Mohammed bin Salman gode della protezione di Donald Trump che nei mesi scorsi ha gettato nella pattumiera persino i risultati delle indagini svolte dalla Cia, sul coinvolgimento diretto del principe. Ha chiamato in causa la ragion di stato. In ballo ci sono i miliardi di dollari che ogni anno Riyadh spende per comprare tecnologia e armi statunitensi. Ma ha pesato anche il ruolo dell’erede al trono, di fatto già al potere, nel ridisegnare gli equilibri in Medio oriente a favore di Usa e Israele e a danno dell’Iran e dei palestinesi. Un’alleanza tanto forte al punto che Trump, denuncia il senatore democratico Tim Kaine, ha approvato il trasferimento di tecnologia nucleare Usa all’Arabia saudita appena 16 giorni dopo l’omicidio di Khashoggi che pure stava destando clamore ovunque, anche negli Usa poiché il giornalista ucciso era un collaboratore di primo piano del Washington Post e un analista intervistato regolarmente dai network americani. Kaine sottolinea che c’è stato un secondo disco verde di Trump lo scorso 18 febbraio, che non ha tenuto in alcun conto il Magnitsky Act, la legge che consente al governo americano di sanzionare chi viola i diritti umani.

 

Il giornalista saudita Jamal Khashoggi

 

Khashoggi, noto per i suoi commenti al vetriolo contro Mohammed bin Salman e la casa regnante saudita, il 2 ottobre andò al consolato saudita per richiedere i documenti necessari per sposare la sua compagna. Nel consolato trovò ad attenderlo un team di killer giunti appositamente da Riyadh e, si è poi scoperto, coordinati da membri dell’entourage di MbS. Khashoggi fu strangolato e fatto a pezzi. Le autorità turche, grazie anche alle telecamere di sorveglianza e a documenti audio, puntarono subito l’indice contro Riyadh. Le responsabilità di MbS furono evidenti. Le ha accertate anche la Cia, eppure queste prove furono accantonate da Trump che si limitò ad avallare sanzioni contro alcuni funzionari della corte reale saudita senza sfiorare il principe ereditario. Dopo aver inizialmente negato ogni accusa, l’Arabia Saudita ha ammesso che suoi uomini erano dietro l’omicidio del giornalista. In risposta allo sdegno e alle critiche globali la magistratura saudita ha poi rinviato a giudizio 11 suoi cittadini non meglio identificati, chiedendo la pena di morte per cinque di loro. Ha però escluso ogni possibile legame tra i sospetti e Mohammed bin Salman.

Secondo Callamard, il processo a porte chiuse celebrato in Arabia Saudita non ha rispettato alcuno standard procedurale internazionale. In sostanza è stato una farsa. «Circa otto mesi dopo l’esecuzione di Khashoggi – rileva il Relatore dell’Onu – lo Stato saudita non è riuscito a riconoscere pubblicamente la sua responsabilità per l’uccisione di Khashoggi e non ha offerto scuse alla famiglia, agli amici e ai colleghi di Khashoggi per la sua morte e per il modo in cui è stato ucciso». Callamard sottolinea che l’Arabia Saudita dovrebbe chiedere scusa anche al governo della Turchia per aver approfittato dei suoi privilegi diplomatici per uccidere il giornalista. Ankara ha già chiesto l’avvio di un’indagine internazionale.

Invece per il ministro degli esteri saudita Adel Jubeir il rapporto sarebbe «infondato». «Non c’è nulla di nuovo – ha scritto su twitter – contiene contraddizioni e accuse infondate che ne mettono in dubbio la credibilità».