Cadaveri di civili sepolti in fosse comuni, detenuti torturati, bambini arruolati come soldati e sparizioni forzate. E in più l’ormai nota, ma non per questo meno drammatica, serie di orrori e violenze compiute contro migranti e rifugiati. Tutto ciò accade a poche miglia dall’Italia, sull’altra sponda del Mediterraneo e in quella Libia con cui i governi occidentali per convenienza fingono ancora di avere un interlocutore affidabile con cui dialogare.

L’ultima istantanea dell’inferno libico l’ha scattata il Consiglio per i diritti umani dell’Onu (Ohchr) che due giorni fa ha presentato i risultati di una missione di inchiesta indipendente denunciando come tutte le parti in conflitto abbiamo perpetrato una continua violazione dei diritti umani ai danni della popolazione. «Le nostre indagini hanno stabilito che tutte le parti, compresi gli Stati terzi, combattenti stranieri e mercenari, hanno violato il diritto internazionale umanitario, in particolare i principi di proporzionalità e distinzione, e alcune hanno anche commesso crimini di guerra» ha denunciato il presidente della missione, Mohamed Auajjar, che ha lavorato insieme ad altri due esperti di diritti umani, Chaloka Beyani e Tracy Robinson,

Obiettivo della missione era quello di esaminare la condotta di tutte le parti presenti nel conflitto, sia libiche che straniere, a partire dal 2016 studiandone gli effetti e le conseguenze sulla popolazione. Con attori diversi a seconda dei tempi: inizialmente nello scontro tra l’ex premier libico Fayez al Serraj e l’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar e successivamente, dalla fine del 2019, con l’arrivo sul terreno dei militari turchi e di mercenari russi e siriani.

I risultati non potevano che essere drammatici, «come dimostrano gli attacchi a ospedali e scuole». «I civili hanno pagato un prezzo pesante durante le ostilità del 2019-2020 a Tripoli, così come altri scontri armati nel Paese dal 2016», ha spiegato Auajjar. «Gli attacchi aerei hanno ucciso dozzine di famiglie. La distruzione delle strutture sanitarie ha avuto un impatto sull’accesso all’assistenza sanitaria e le mine antiuomo lasciate dai mercenari nelle aree residenziali hanno ucciso e mutilato i civili».

Nel condurre il loro lavoro Auajjar, Beyani e Robinson hanno esaminato centinaia di documenti, intervistato più di 150 testimoni ed esteso le indagini anche a Tunisa e Italia arrivando alla scoperta di crimini atroci. Come quelli commessi tra il 2016 e il 2020 nella città di Tarhuna, a sud est di Tripoli. Qui, in un’area agricola chiamata «Chilometro 5» dallo scorso mese di aprile a oggi la missione ha scoperto numerose fosse comuni recuperando finora almeno 50 cadaveri.

Vittime della guerra sono ovviamente anche coloro che hanno dovuto lasciare le proprie case e fuggire: «L’insicurezza cronica – è scritto nella rapporto – ha portato all’evacuazione di centinaia di migliaia di persone che sono finite in aree mal attrezzate. Alcuni gruppi etnici, come i Tawergha, i Tebus e gli Alahali, sono sfollati dal 2011 e continuano a subire gravi abusi. Le prove indicano che la Libia non ha intrapreso azioni per garantire la sicurezza degli sfollati interni e il loro ritorno al luogo di origine, in violazione dei suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale».

C’è poi il capitolo riguardante gli stranieri, quanti arrivano in Libia alla ricerca di una lavoro o nella speranza, spesso vana, di riuscire a raggiungere l’Europa. E in questo caso gli esperti dell’Onu indicano chiaramente le responsabilità della autorità libiche: «Migranti, richiedenti asilo e rifugiati sono soggetti a una litania di abusi in mare, nei centri di detenzione e per mano dei trafficanti», ha affermato Chaloka Beyani. «Le nostre indagini indicano che le violenze contro queste persone sono commesse su vasta scala da attori statali e non statali, con un alto livello di organizzazione e con l’incoraggiamento dello Stato, il che è indicativo di crimini contro l’umanità».