«Esorto il governo marocchino a smettere di prendere di mira i difensori dei diritti umani e i giornalisti e a creare un ambiente in cui possano svolgere questo lavoro senza timore di rappresaglie», ha affermato Mary Lawlor, relatrice speciale sulla situazione degli attivisti dei diritti umani, durante la sessione del Consiglio delle Nazioni unite per i diritti umani (Cdh) che si è riunito lo scorso mercoledì a Ginevra.

Nella sua relazione Lawlor ha indicato che «il Marocco deve smettere di opprimere attivisti e giornalisti» che difendono le questioni relative ai movimenti di protesta (Hirak del Rif) o al Sahara occidentale occupato.

I principali casi in questione riguardano i 19 attivisti saharawi del campo di protesta di Gdeim Izik del 2010 – il cui obiettivo era proprio quello di rivendicare la «discriminazione in corso, la povertà e le violazioni dei diritti umani nei territori occupati del Sahara Occidentale – e attualmente imprigionati in diverse carceri del Marocco, con numerose testimonianze di torture «fisiche e psicologiche».

Tutti i prigionieri e le loro famiglie hanno subito rappresaglie e misure punitive per il loro impegno come nel caso di Naâma Asfari, attivista condannato a 30 anni di carcere, che ha testimoniato di «essere stato sottoposto al regime di isolamento per diversi anni e di non poter ricevere visite di avvocati e parenti», visto che sua moglie, la francese Claude Mangin Asfari, ha avuto il diritto per una sola visita nel 2016 prima che le fosse proibito l’ingresso in Marocco.

Lawlor si è anche espressa contro «la sistematica e incessante persecuzione degli attivisti come risposta all’esercizio del loro diritto alla libertà di associazione e di espressione», comprese anche associazioni e ong che sono direttamente legate alle Nazioni unite, con numerosi episodi di «intimidazione, molestie, minacce di morte, aggressioni fisiche e sessuali e minacce di stupro».

Il riferimento è agli episodi di violenza nei confronti dell’attivista saharawi Sultana Khaya, presidente della Lega per la difesa dei diritti umani e la protezione delle risorse naturali del Sahara occidentale, a cui viene impedito di uscire dalla propria abitazione di El Aayoun da oltre un anno.

Secondo le testimonianze, Sultana Khaya è stata ripetutamente «molestata dalle autorità marocchine» – dopo aver perso un occhio per l’aggressione da parte di un poliziotto nel 2007 – con «episodi di minaccia, violenza e aggressione nei confronti di tutta la sua famiglia, impedendole anche di poter reperire medicine e farmaci per i suoi gravi problemi di salute».

Durante la sessione del Cdh è stata messa in evidenza anche «l’impossibilità dei legali di poter far visita ai propri assistiti», come è recentemente avvenuto all’avvocato belga Christophe Marchand, fermato all’aeroporto di Rabat lo scorso 28 giugno e rimpatriato forzatamente con un volo per Bruxelles dopo qualche ora.

A Marchand, è stato impedito, senza nessuna accusa o ordinanza scritta, di poter assistere al processo contro alcuni dissidenti e giornalisti marocchini, come Omar Radi (detenuto per i propri articoli contro il regime di Mohamed VI), visto che «il governo marocchino non tollera la presenza di osservatori indipendenti durante le udienze contro i suoi dissidenti», come dichiarato dall’avvocato belga.