«Non respingete i migranti in Libia». Mentre l’Europa cerca a tutti i costi un accordo con Tripoli per chiudere la rotta del Mediterraneo centrale e punta ad affidare alla Guardia costiera libica il compito di riportare indietro i barconi carichi di disperati, un avvertimento a non stringere patti pericolosi arriva dalle Nazioni unite e in particolare dall’Alto commissario per i diritti umani (Ohchr). «Data l’incertezza dell’attuale situazione, la frammentazione del controllo e la pletora di gruppi armati, non esistono condizioni ragionevoli per i ricollocamenti» nel paese nordafricano. E un monito analogo arriva a Bruxelles anche dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, contrario anche lui ad «accordi con paesi terzi se questi non rispettano i diritti di migranti e richiedenti asilo».

Le preoccupazioni delle Nazioni unite sono contenute in una relazione intitolata «Detenuti e disumanizzati, rapporto sulle violazioni dei diritti umani dei migranti in Libia» messo a punto dall’ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani a dicembre dello scorso anno, quando le trattative per un accordo con Tripoli erano ormai più di una semplice ipotesi. 28 pagine in cui si ricorda come le condizioni di sicurezza nel paese abbiano cominciato a deteriorarsi dal 2011, con l’inizio del conflitto, ma siano peggiorate nel tempo parallelamente a un incremento dei traffici delle organizzazioni criminali. Una situazione di pericolo che persiste ancora oggi, al punto che l’Onu non esita a definire la situazione dei migranti in Libia come «una crisi dei diritti umani». «La caduta del sistema giudiziario – si legge nel report – ha portato a uno stato di impunità nel quale gruppi armati, bande criminali, trafficanti di uomini e contrabbandieri controllano il flusso dei migranti attraverso il paese». Traffici illeciti ai quali non sarebbero estranei – secondo l’Ohchr -, anche alcuni «membri delle istituzioni» libiche e dei quali gli unici a pagarne le spese sono i migranti, «soggetti a detenzioni arbitrarie, tortura, maltrattamenti, uccisioni, violenze sessuali e costretti a lavori forzati». In questa situazione a essere maggiormente a rischio ovviamente sono le donne, vittime di «numerosi casi di stupro e altre violenza sessuali».

Ancora oggi, nonostante il governo guidato del premier Fayez al Serraj sia sostenuto dall’Onu, la Libia non ha firmato la convenzione di Ginevra e sul suo territorio si trovano 24 centri di detenzione per migranti, non tutti attivi, gestiti dal Dipartimento per il contrasto dell’immigrazione clandestina (Dcim) e nei quali si trovano – stando alle stime fornite nel rapporto – tra i 4.000 e i 7.000 detenuti. A questi si devono però aggiungere quanti – e sono decine di migliaia – vengono rinchiusi dai trafficanti di uomini in capannoni o «connection house» fino al momento della partenza. In tutti questi luoghi le violenze sono all’ordine del giorno, accompagnate quasi sempre da continue e ulteriori richieste di denaro alle famiglie dei migranti. Numerose le testimonianze riportate nel rapporto, come quella di un sedicenne eritreo. Una volta riuscito ad arrivare in Italia, a Pozzallo, ha raccontato di essere stato catturato a Tripoli da uomini in divisa e di essere stato richiuso un mese e mezzo in un hangar insieme ad altri 200 uomini, donne e bambini, in maggioranza eritrei e somali. «Non c’erano finestre e l’aria era poca», denuncia il rapporto. «C’era un solo bagno e i detenuti erano obbligati a urinare nelle bottiglie. L’odore era travolgente e molte persone si sono ammalate». Alcuni di scabbia, altri hanno denunciato problemi di respirazione. «Siamo africani, ci chiamavano animali e ci trattavano come animali», ha raccontato il ragazzo.

Un altro giovane, anche lui di 16 anni ma originario del Senegal, è stato invece richiuso per un mese in un magazzino di Sabha, nel sud della Libia, insieme ad altri 80 migranti, tra i quali 42 donne e bambini, con acqua e cibo insufficienti e guardati a vista da uomini in divisa. «Ogni notte – ha detto – alcuni uomini armati venivano e portavano via donne e ragazze di 13 anni. Le riportavano indietro dopo poche ore o il giorno dopo. Le donne e le ragazze venivano violentate e se resistevano venivano picchiate o minacciate con le armi».

«Per il diritto internazionale essere un migrante non dovrebbe mai comportare la detenzione automatica», ricorda l’Onu chiedendo di non rimandare indietro i migranti. «Entrare irregolarmente in un paese non dovrebbe costituire un crimine e chi lo fa non commette un reato contro la persona, la proprietà o la sicurezza nazionale». Un avvertimento che dovrebbe valere per la Libia come per molti paesi europei.