L’espulsione di Alma Shalabayeva come il sequestro dell’ex imam Abu Omar. A fare il paragone è stato ieri l’Alto commissariato dei diritti umani in un comunicato dalla sede di Ginevra. Analizando le circostanze che hanno portato alla cattura e all’allontanamento della moglie e della figlia del dissidente kazako Ablyazov, tre esperti Onu non nascondono «l’impressione che si sia trattato di una extraordinary rendition». Il comunicato si conclude con la richiesta rivolta a Italia e Kazakistan di consentire un «rapido ritorno» di madre e figlia. Le parole del ministro Alfano non hanno evidentemente convinto l’Onu che ha ritenuto di dover intervenire. Del resto le incongruenze presenti nelle giustificazioni date dal ministro e dal capo della polizia Pansa sono numerose. Tra le altre, vale la pena ricordare come la polizia abbia sempre saputo con chi aveva a che fare. Lo testimoniano due note con cui l’ambasciata kazaka il 28 e il 30 maggio ha comuncato alla questura che nella villa di Casal Palocco dove si riteva si trovasse Ablyazov, gli agenti avrebbero trovato anche la moglie e la figlia del dissidente, Alma Shabayeva e Alua. E anche di come la donna fosse in possesso di due regolari passaporti kazaki, uno rilasciato il 24 aprile 2007, n. 5347890, e l’altro il 3 agosto del 2012, n. 0816235. Questo in aggiunta al passaporto diplomatico Centrafricano che da solo avrebbe consentito la permanenza in Italia di madre e figlia.