Quando è stata annunciata la ripresa in streaming del film di Gianni Di Gregorio che era appena uscito in sala a febbraio al limite del lockdown abbiamo immaginato l’estrema pazienza del regista, la sua bonomia nell’accettare la compressione del suo film su piccolo schermo, la sua filosofica rassegnazione di uno che ne ha viste tante. Di questa materia è fatto anche Lontano lontano (da oggi su Rai play nell’ambito di un ciclo che prevede ogni giovedì nuove uscite dedicate al cinema italiano, per un totale di otto produzioni), un film dai tratti minimali e dall’umorismo incandescente che ha bisogno di grandi spazi per espandersi e poter cogliere nel silenzio della capitale il fragore di secolari eventi che hanno reso i suoi abitanti impermeabili alle catastrofi.

SCENEGGIATORE prima che regista, lanciato dalla Settimana della critica 2008 con lo strepitoso Pranzo di Ferragosto (premio de Laurentiis come miglior esordio, David e Nastro d’argento) con questo suo ultimo film Di Gregorio aveva travolto anche il pubblico riservato e parecchio cinéphile del Torino Film Festival 2019. I personaggi principali messi in scena sono due amici, il professore (Gianni Di Gregorio), il suo amico Giorgetto (Giorgio Colangeli) dal carattere ombroso e scansafatiche per tradizione, che si incontrano ogni giorno al bar di San Calisto a Trastevere. I pochi soldi della pensione sono il problema del giorno e lo spunto, partito come tipico dibattito da bar, è sviluppato poi in tutti i possibili risvolti che evidenziano l’infinita pazienza dei romani, grazie anche all’aiuto di un consulente esperto (Roberto Herlitzka, altro memorabile ritratto) che illustra costi e benefici della scelta di andarsene all’estero. A loro si aggiunge Attilio (Ennio Fantastichini in una delle sue ultime interpretazioni) un tipo di Tor Tre Teste, ambulante di etnico e modernariato, indicato come esperto in fatto di paesi «lontani» dove far durare la pensione un po’ più a lungo, così il professore e Giorgetto si mettono in cammino in una Roma deserta d’estate verso la mitica borgata per incontralo.

Divertente e nello stesso tempo malinconico, dal tipico andamento rilassato romanesco, non solo nell’atteggiamento dei protagonisti, ma anche nella scansione delle scene, quasi si tratti di esametri con tutti gli accenti al posto giusto, come si conviene a un professore di latino e greco in pensione. Il livello di leggerezza e sospensione di Gianni Di Gregorio difficilmente lo ritroviamo in altri autori «romani» di commedie.

IL SUO STILE ricorda più l’elegia che la commedia, una elaborazione personalissima di otium, diversi sono i riferimenti di altri autori di formazione classica come Verdone, più propenso a cogliere i lati malinconici dell’impero in decadenza, quasi un nuovo Seneca, o Christian De Sica inimitabile agitatore di fescennini. Flemmatico, Gianni Di Gregorio è attento a interrompere il ritmo al momento giusto. Noblesse e ristrettezze economiche si intrecciano con estremo divertimento, alla ricerca di una dignitosa sopravvivenza.

LA CONTAMINAZIONE imprevista è l’incontro in borgata con Ennio Fantastichini a spezzare all’improvviso con la sua dirompente presenza quel placido andamento di notazioni e riflessioni, battute smorzate per non sprecare troppe energie. Il ritmo del film cambia tono, probabilmente anche rotta con l’inserimento di situazioni impreviste come l’irruzione nella trama di qualcuno ancora più povero, il ragazzo migrante che un altrove l’ha trovato a Roma.