Claudio Magris è intervenuto sul caso greco con affermazioni impulsive. La loro umoralità rivela le ragioni culturali e psicologiche che sottendono la guerra civile non dichiarata tra il Centro-Nord e il Mediterraneo all’interno dell’Europa.

Avendo attribuito a Tsipras la pretesa che la Grecia abbia da parte dei suoi creditori un trattamento di riguardo per il suo glorioso passato, Magris impartisce ai greci, e di striscio agli italiani, di oggi, una lezione, gratuita ma coerente con le sue reali motivazioni: il passato di Atene o di Roma non assolve nessuno e men che mai garantisce un altrettanto grande presente.

I discorsi lapalissiani sono spesso prodotto di rimozioni che emergono con i lapsus. “Quando – dice Magris – si ha un’altissima civiltà nel proprio Dna, essa si rivela non nella citazione del passato, ma nel modo in cui si affrontano i problemi del proprio presente». Gli inglesi, esemplifica, sono stati i degni eredi di Roma e non Mussolini. Conclude definendo la ribellione dei greci a cinque anni di inutili sacrifici come hybris tignosa e truffaldina.
L’illusione che un popolo abbia nel suo Dna un’altissima civiltà, è la radice ideologica del razzismo. Seguendo questa prospettiva diventa comprensibile perché Magris scomodi Mussolini. Il rimosso diventa evidente: la Germania nazista.

Per un cantore, raffinato e profondo, della Mitteleuropa, è motivo di imbarazzo serio toccare questo punto. Come conciliare la grande cultura tedesca con la barbarie del nazismo?

La leadership tedesca determinata a spezzare le reni della Grecia in crisi e l’iniquità manifesta nel diverso trattamento del debitore nel giro di pochi decenni, attivano fantasmi dimenticati, non sufficientemente elaborati, che diventano una spina.
L’eccesso di veemenza dei governanti tedeschi contro i greci, nega la loro delegittimazione interiore di fronte al riaffacciarsi degli spettri.

Nè il passato glorioso (remoto) assolve, né il passato infamante (più recente) condanna. Tuttavia, l’attuale classe dirigente tedesca non è all’altezza di un presente che sa riconoscere il dolore da cui è nato. Pesano su questa difficoltà, che è all’origine del riaffiorare del nazionalismo tedesco, l’antico e mai risolto dolore dell’umiliazione subita dopo la prima guerra mondiale, che ha favorito il nazismo, e il dolore più sordo di essere rimasti soli con un insostenibile senso di colpa, senza che la civiltà europea, nel suo insieme, si fosse fatta carico della sua responsabilità nello sterminio degli Ebrei (degli errori storici commessi da tutti).

Tutto questo si scarica sulla storica incomprensione e reciproca mistificazione tra il popoli del nord e quelli del mediterraneo, che si riflette nella loro diversa percezione della grande civiltà greco-romana.

Civiltà che, come Marino Niola ha ricordato in un suo bell’articolo, i grandi idealisti tedeschi hanno trasformato in un sistema di valori immobile nel tempo, avulso dalla specificità, fisicità climatica e geografica in cui è nata.

Ciò che unisce modi diversi, ma non inconciliabili, di mescolare ragione e desiderio, è la loro comune determinazione dal conflitto tragico (il contributo europeo più importante all’umanità nel suo insieme): il dilemma impossibile tra l’eccesso di passione e la sua assenza (eccesso di norma). Questo conflitto si risolve solo con lo schiudersi alle ragioni dell’altro: il costante mettersi nei suoi panni per poterlo incontrare.

Si può dire, ispirandosi al titolo di un libro importante di Magris, Lontano da dove», che il nostro destino è vivere in viaggio in mezzo a luoghi insieme antichi e nuovi. Lontano/vicino da/a ogni dove.