È il viaggio che conta, non la destinazione. E mai come in questi tempi pandemici, simili cliché New Age trovano altrettanta, autorevole conferma. Donde le note seguenti, che riguardano gli spostamenti internazionali nell’Ue ai tempi del Covid-19: e che sono sia la cronaca di un lungo viaggio europeo via terra in quest’estate 2021, in cui poco o nulla si sa su se/dove/come si possa andare, sia una sommaria guida alla documentazione necessaria per viaggiare in quest’Europa girevole, socchiusa e semiaperta, intrappolata in una continua falsa partenza.

L’ITINERARIO? LONDRA-ROMA. La distanza? Circa 1870 km. Il mezzo? Una qualsiasi automobile, ma nella fattispecie una Volvo rossa di fine anni Settanta e dalla forma e il colore di un laterizio: un pezzo di ferro e allumino socialdemocratico scandinavo forgiato quasi manualmente a Göteborg, alimentata a carburatore e – oltre trent’anni dopo – doverosamente convertita a Gpl. Rigorosamente priva di aria condizionata e tuttavia ammodernata dalla quinta marcia e dal servosterzo, aggiunti ex-post negli anni per mitigarne il discomfort di guida come anche permettere l’ascolto della musica.

UN VIAGGIO SIMILE su quattro ruote potrà sembrare – anzi lo è senz’altro – una perversione eco-antropologica, uno sberleffo all’ambiente morente e alle energie limitate di un essere umano adulto. Ma tolta la quantità esponenzialmente superiore di Co2 emessa da un qualsiasi voletto di linea, quest’esperienza, abitualmente fatta a bordo della succitata automobile per puro feticismo freudiano e non marxiano, potrebbe tornare forse utile a coloro che, spaventati dal labirinto sanitario aeroportuale e dai mille inconvenienti che potrebbero azzoppare irrimediabilmente la loro vacanza, decidano di viaggiare, appunto, via terra.

QUANTO AI PREREQUISITI medico-sanitari: per chi, come il sinceramente vostro, proveniva dall’Inghilterra post-Brexit e scendeva verso l’Italia salpando da Dover a Dunkirk/Dunkerque e passando per il Belgio, dove le autostrade sono gratuite e il Gpl più economico d’Europa anziché tagliando in senso latitudinale tutta la Francia verso Torino, l’ostacolo principale era entrare appunto in Francia: da lì in giù era ragionevole ritenere che le successive frontiere – nell’ordine: Francia-Belgio, Belgio-Lussemburgo, Lussemburgo-Francia, Francia-Svizzera, Svizzera-Italia – non avrebbero rappresentato un grosso problema per chi quei Paesi semplicemente attraversa senza restarvi, come poi confermato.

INOLTRE, PER CHI PROVENIVA da una Gran Bretagna testé “riaperta” (il 19 luglio) a tutti gli effetti e tuttavia in balia delle folate della neo-variante Delta, ai doppiamente vaccinati (per i non vaccinati è tutto assai più complicato) la Francia richiedeva un test antigenico valido 48 ore dall’esecuzione. In Uk, questo test è effettuato da vari laboratori privati, spuntati come funghi e che, in ossequio al classico laissez-faire nazionale, sono liberi di sparare cifre criminali per un tampone molecolare (anche oltre 165 Euro), e circa la metà per un antigenico. Dopo aver scovato il provider più economico per detto antigenico, inviato il risultato via email e ottenutone indietro, sempre via email, il certificato di negatività, e infine scaricata l’applicazione dell’Nhs, il sistema sanitario nazionale, che comprovasse il mio status di vaccinato, ero pronto.

O MEGLIO, QUASI. L’App dell’Nhs non riusciva a collegarsi con il sito del mio medico curante e a mostrare lo status di vaccinato, creandomi non pochi patemi. Per timore di essere respinto, ho richiesto alla farmacia di zona dove mi erano stati somministrati ambo i vaccini un foglio timbrato che comprovasse il mio status di vaccinato, anche se privo di valore legale. Arrivato a Dover a mezzanotte, il controllo passaporti francese mi ha fortunatamente lasciato passare, richiedendomi soltanto il test antigenico. Va da sé che, a poco meno di due settimane, la procedura è già mutata: a oggi, per entrare in Francia dal Regno Unito gli automobilisti vaccinati devono mostrare soltanto la loro prova di vaccinazione attraverso l’App in questione, e non più il tampone molecolare o antigenico che sia.

DOPO LA PERQUISIZIONE dell’auto da parte della dogana britannica – casomai contenesse qualche banchiere nascosto nel baule che cercava disperato di fuggire dalla city per stabilirsi a Francoforte – la navigazione della Manica e lo sbarco a Dunkerque, il viaggio è proseguito liscissimo da un punto di vista legale/sanitario, salvo una defaillance meccanica che ha funestato i miei sonni nel motel-cassettiera di Colmar (in Alsazia-Lorena, sotto i magnifici Vosgi) dopo i primi 800 chilometri, ma quella è un’altra storia. tutte le altre frontiere fiocinate di lì a poco dalla Volvo rossa sono state contraddistinte dall’assoluta assenza di controlli, a parte l’ingresso in Svizzera per il pagamento dell’esosa vignette, il pedaggio automobilistico annuale svizzero. ogni volta che varcavo un confine, un messaggio Sms mi informava dei prerequisiti profilattici necessari per la permanenza in ciascun Paese. Fino all’ingresso in Italia a Chiasso, dove sono comunque passato senza che mi fosse richiesto alcunché in barba alla targa britannica del mezzo.

MA ORMAI ERO NUOVO in Italia. Dopo oltre un anno di assenza, di spaventi virali per la salute propria e delle persone care, e a 24 ore dalla domenica in cui la nazionale se la giocava a Wembley con la perfida. Ripartito la mattina da Colmar – non prima di aver ovviato alla perdita di liquido della pompa del servosterzo che mi aveva tenuto sveglio la note precedente e temevo mi avrebbe bloccato chissà quanto – mi sono ritrovato ancora al volante la sera della finale, che ho ammirato in un autogrill semideserto dell’A1 vicino a Valdichiana assieme a un paio di camionisti, in un’atmosfera in bilico fra Hopper (Edward) e Ligabue (Luciano). Da lì ho proseguito fino in Umbria, dove ho scontato la quarantena di cinque giorni che l’Italia richiede a chiunque provenga via terra dalla Gran Bretagna.

INSOMMA, UN VIAGGIO SU RUOTA tutto sommato non drammaticamente diverso dagli altri effettuati in epoca prepandemica, ma pur sempre un viaggio di ritorno, un nostos fortunatamente privo di impicci omerici: chi viaggia per il piacere della vacanza è bene che si prepari a farlo in un contesto di norme e regolamentazioni in continuo mutamento, nonostante il Green Pass europeo recentemente introdotto.

L’Europa è aperta, certo: si può andare, tra le destinazioni, in Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia , Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Ungheria e Regno Unito. Ma ciascuno di questi Paesi richiede tamponi, dichiarazioni, attestati specifici a seconda che si sia vaccinati o meno. Sono invece chiuse al turismo Albania, Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia del Nord, Kosovo, Moldavia, Bielorussia, Ucraina, Russia. Quanto al ritorno – anzi, ai ritorni – l’Italia richiede la compilazione del Digital Passenger Locator Form. E comunque, nello specifico, prima di accendere il motore meglio visitare il sito Viaggiare Sicuri, realizzato dal Ministero degli Affari Esteri (www.viaggiaresicuri.it), o il sito www.reopen.europa.eu.