La tensione nel Golfo persico si impenna e, per evitare un’ulteriore escalation, Londra decide di mandare una seconda nave da guerra, rischiando però di ottenere il risultato contrario.

La nave da guerra è il cacciatorpediniere Duncan, attualmente nel Mediterraneo: la prossima settimana andrà a dare manforte alla fregata Montrose che a breve dovrà attraccare in Bahrain per fare manutenzione. Se gli inglesi inviano una seconda nave da guerra nel Golfo persico è perché, secondo quanto dichiarato dalle autorità britanniche, due giorni fa alcune imbarcazioni iraniane avrebbero cercato di deviare il percorso di una petroliera britannica della compagnia petrolifera Bp che stava per avvicinarsi allo Stretto di Hormuz, affinché entrasse in acque territoriali iraniane.

Intanto, da Teheran gli ayatollah chiedono a Londra di far ripartire la petroliera iraniana Grace 1, fermata la notte del 4 luglio da trenta Royal Marines mentre attraversava lo Stretto di Gibilterra, a quattro chilometri dalla colonia britannica.

Secondo il capo del governo del territorio d’oltremare Fabian Picardo, la nave trasportava greggio verso la raffineria di Banyas, in Siria, in violazione delle sanzioni dell’Unione europea al governo siriano di Bashar al-Assad. Sanzioni che suscitano perplessità per diversi motivi: il popolo siriano non ha bisogno di sanzioni ma di aiuti; il governo di Assad è il solo riconosciuto dall’Onu; se non fosse stato per l’impegno sul terreno di Iran e Siria, l’Isis avrebbe avuto modo di espandersi; l’Occidente si è comportato in modo a dir poco ambiguo nella guerra in Siria, sostenendo al-Qaeda e i salafiti.

Il 5 luglio il procuratore generale della Corte suprema di Gibilterra ha confermato il sequestro della petroliera iraniana per i successivi 14 giorni. Un’operazione di routine, per i Royal Marines britannici che hanno utilizzato imbarcazioni per affiancare la petroliera e si sono calati da un elicottero bloccando i 27 membri dell’equipaggio.

Un’operazione, questa, che le autorità di Londra hanno messo in atto sotto pressione degli americani, tant’è che viene da pensare che l’obiettivo non sia impedire alla Siria di Assad di ricevere una fornitura di greggio, quanto piuttosto ostacolare la vendita di oro nero iraniano. E questo proprio nel momento in cui l’Unione europea dovrebbe darsi da fare per tenere in piedi l’accordo nucleare del luglio 2015 smantellato, in modo unilaterale, dal presidente statunitense Donald Trump.

Da Teheran, le reazioni non si sono fatta attendere, anche perché la percezione che gli iraniani hanno degli inglesi è pessima: nell’Ottocento avevano cercato di controllare il sud della Persia perché era la via che portava alle Indie; nel 1941 avevano invaso l’Iran anche se durante la Seconda guerra mondiale Reza Shah si era dichiarato neutrale; nel 1951 avevano scatenato l’embargo dopo la nazionalizzazione del petrolio iraniano da parte di Mossadeq.

Ora, a fronte della cattura della petroliera iraniana a Gibilterra, Muhammad Ali Mousavi Jazayeri, membro dell’Assemblea degli Esperti (l’organo incaricato di scegliere la prossima Guida suprema), ha dichiarato che «la Gran Bretagna dovrebbe essere spaventata della risposta dell’Iran». E Mohsen Rezai, generale dei pasdaran, ha aggiunto che «se la Gran Bretagna non rilascerà la petroliera iraniana, sarà dovere delle autorità iraniane impossessarsi di una petroliera britannica».

Un gioco sempre più pericoloso che aumenta i costi di trasporto e assicurativi delle nostre fonti energetiche.