Il giubileo della regina, una tribù di ragazzini punk, una delegazione intergalattica con tendenze erotomani, Nicole Kidman che sembra Debbie Harry, costumi elaboratissimi di Sandy Powell per un indie a piccolo budget che mischia Giulietta e Romeo a Julian Temple. Scassato e a tratti ripetitivo, il nuovo film di John Cameron Mitchell, How To Talk To Girls at Parties, presentato fuori concorso domenica pomeriggio, ha in sé una vena di irriverenza e di gioco che manca clamorosamente a tutto quello che si è visto fino ad ora nella competizione 2017. Il che lo rende un intermezzo piacevole, come una boccata d’aria, tra monoliti d’autore per di più non riuscitissimi.

L’idea di un cinema anti monumentale, scherzoso, off-off Hollywood (una versione del terzo millennio della new wave dell’East Village anni ’80), imbevuto del lifestyle della downtown di Manhattan o di Dumbo, caratterizza tutta l’opera di Mitchell, a partire dal suo esordio, Hedwig and the Angry Inch, tratto da una piece autobiografica diventata celebre sui palcoscenici del West Village.

https://youtu.be/gnDyjAcofio

Già a Cannes fuori concorso nel 2006, con Shortbus (uno squarcio hardcore sui salon erotici di New York dietro a cui si nascondeva un animo stranamente sentimentale e anti-iconoclasta), con il suo nuovo lavoro, Mitchell scavalca l’Oceano per l’adattamento da un racconto breve di Neil Gaiman. È il 1977, la vigilia del giubileo d’argento della regina (che i Sex Pistols celebrarono in protesta, da una barca sul Tamigi, con una mitica performance di God Save the Queen), Enn (Alex Sharp) è bravo con la matita – il suo futuro di graphic novelist molto più assicurato di quello del cuore. Il film inizia con una turbinosa corsa in bicicletta per le strade di Croydon che lo porta, insieme agli amici Vic e John, nella boite punk di Boadicea (Kidman), per un concerto della band locale, I Dyschords.

In cerca di una festa dove proseguire il divertimento, Enn e co. finiscono –attirati da un’insolita melodia e da luci vivacissime- in una grossa villa al cui ingresso è il cartello «in vendita». All’interno è un misterioso gruppo di umanoidi, foderati in latex colorato, impegnati in strane coreografie acrobatiche, e tra cui spicca, esilissima e riflessiva, Zan (Elle Fanning). Lei e En si piacciono subito ma, intercalate alle loro conversazione romantico/teen (da cui si capisce che con le ragazze lui è abitualmente un disastro), le immagini ci mostrano che siamo in presenza di un distaccamento extraterrestre, forse di tendenza cannibale.

Rimanere sulla terra o no? Completare o abortire la propria missione? L’imprevista sbandata di Zan per il nerd londinese crea discordia e confusione tra gli ET. Allo stesso tempo, gli amici di Enn lo supplicano di darsela a gambe insieme a loro. Dopo aver strappato un permesso speciale di 48 ore, i due ragazzi tornano da Boadicea, dove Zan, posseduta anche lei dalla febbre del punk, si scatena in un numero musicale. In questa cross-pollinazione dolcemente edonistica, tra tribù di underground, marginali, diversi, stanno il cuore di Mitchell (come sempre nei suoi lavori) e la scena più bella del film.