Il numero preciso nessuno lo conosce. Su quanti siano i lavoratori in quarantena in Italia per Covid 19 si possono fare solo stime. E non certo accurate. Il loro numero è certamente in aumento esponenziale e di sicuro sta viaggiando verso i due milioni con stime che sostengono si possa arrivare a quota 10 milioni – quasi uno su tre se si sommano gli italiani attivi – entro il 10 gennaio, giorno di riapertura di gran parte delle scuole.
A soffrire soprattutto sono i settori essenziali. Nonostante l’obbligo vaccinale e l’essere stati tra i primi a poter ottenere la terza dose booster, fra il personale ospedaliero i numeri sono in grandissimo aumento. Infermieri e medici mancano nelle corsie costringendo i colleghi a turni massacranti.
C’è poi un altro grandissimo problema. Anche coloro che sono guariti – uscendo dalla quarantena e tornando al lavoro – necessitano non solo del tampone – il molecolare è un miraggio a meno di non pagare 150 in una struttura privata – ma del certificato di fine isolamento da parte delle Asl. Ma essendo saltato il tracciamento, i Dipartimenti di prevenzione non sono in grado di far fronte alla domanda. L’alternativa in non tutte le regioni sono i medici di famiglia, già oberati di lavoro, lamentano come i sistemi informatici siano saltati.
Ieri Confindustria si è segnalata per l’ennesima proposta che mette a rischio la salute dei lavoratori. Valter Caiumi, presidente di Confindustria Emilia ha proposto alla Regione guidata da Bonaccini di permettere di riconoscere la validità di test antigenici dalle strutture private anche per uscire dall’isolamento. I test antigenici sono meno sicuri e il vantaggio per le strutture private è evidente.
Ci sono infine i circa 2,5 milioni i lavoratori italiani che non sono ancora vaccinati, circa la metà del totale di chi non ha ancora fatto una dose in Italia: 5,5 milioni di over 12. Per loro il governo a giorni dovrebbe riservare la nuova estensione dell’obbligo del super green pass (il certificato verde di vaccinati o guariti) da giorni sul tavolo di palazzo Chigi e che – dopo lo stop di Giorgetti e M5s in consiglio dei ministri la scorsa settimana, Draghi ha deciso di imporre senza ulteriori mediazioni almeno per i servizi essenziali, partendo però dalla sola Pa.
Con l’obbligo vaccinale già imposto a insegnanti e forze dell’ordine, si tratterebbe di circa 950 mila dipendenti pubblici. Si partirebbe dai lavoratori più a contatto con il pubblico, come quelli della ristorazione. Per poi estenderlo poi ad altre categorie, a partire dai trasporti. Un appuntamento che dovrebbe essere preceduto da un incontro con sindacati e Confindustria.
I sindacati invece chiedono proprio al ministro della Pa Renato Brunetta di reintrodurre massicciamente lo smart working nella pubblica amministrazione, norma che nella prima ondata ha permesso di mantenere alti standard di servizi senza rischi di contagio per i lavoratori. In più con lo smart working tutti coloro che sono in quarantena senza sintomi potrebbero tranquillamente continuare a lavorare da remoto. La risposta di Brunetta – in una nota ufficiale del ministero – piccata: la richiesta viene definita «incomprensibile» perché il contesto è diverso da quello del lockdown e inoltre «le amministrazioni pubbliche possono decidere la rotazione del personale consentendo il lavoro agile anche fino al 49%». Possibilità che nessun dirigente sta prevedendo.
Alcuni settori – a partire dal turismo – sono già stati fortemente colpiti nel momento di alta stagione invernale. Per questo i sindacati – spalleggiati ieri dal M5s – chiedono la proroga della cassa integrazione con causale Covid-19 e la proroga dell’equiparazione dei periodi di quarantena allo stato di malattia almeno fino al termine dello stato di emergenza. Secondo le stime sarebbero 200mila i lavoratori a rischio, concentrati nel turismo e nella ristorazione.
Il grido di dolore degli industriali – e in parte anche dei sindacati – non riguarda solo l’ennesima ondata di Covid. Ad allarmare è anche il caro bollette energetiche con molte fabbriche del Nord che hanno o stanno decidendo di bloccare la produzione per evitare di pagare l’energia. I casi sono già parecchi in Emilia-Romagna dove la preoccupazione è forte con il segretario regionale della Cgil Luigi Giove che da giorni chiede «alle istituzioni interventi per evitare il rischio che le fabbriche chiudano mettendo i lavoratori in cassa integrazione quando paradossalmente sono piene di ordini e lavoro».