Alla fine di Agosto è stato pubblicato su Science lo studio di un team internazionale di ricercatori sul rapporto tra genetica e omosessualità. Secondo lo studio, finanziato dall’Istituto Nazionale della Salute americano e riguardante mezzo milione di persone (donne e maschi), nella determinazione dell’orientamento omosessuale sarebbero implicati molti geni e non uno solo. Aggregate, le varianti genetiche influirebbero sull’omosessualità con una variazione tra l’8 e il 25%. Per il resto l’omosessualità dipenderebbe da fattori sociali e ambientali. In realtà i dati forniti dai ricercatori contraddicono i ripetuti annunci della scoperta del gene dell’omosessualità, ma non dicono nulla di sorprendente. Confermano la determinazione “multifattoriale” dell’orientamento omosessuale come di quello eterosessuale, di cui chiunque abbia una certa dimestichezza con lo studio dell’esperienza umana non potrebbe dubitare. Con buona pace di coloro che vedono gli esseri umani come macchine comportamentali geneticamente determinate.

Nella discussione dei dati prima della loro pubblicazione, è stata coinvolta la comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender). La preoccupazione prevalente emersa dal dibattito è stata questa: la rivelazione che i geni giocano un ruolo solamente parziale nella determinazione della sessualità, potrebbe incoraggiare chi pensa che l’omosessualità sia una scelta a cercare di imporre terapie di conversione. Benjamin Neale, uno dei leader del team dei ricercatori, omosessuale, ha fatto una ragionevole osservazione: l’omosessualità “è parte della nostra specie e parte di chi noi siamo”. La risposta angosciata e angosciante di Steven Reilly, un genetista membro della comunità LGBT, profondamente contrario alla pubblicazione dei dati, merita di essere riportata: “In un mondo senza discriminazioni, la comprensione del comportamento umano è uno scopo nobile, ma noi non viviamo in un mondo così”(NY Times)

È ridotto male il mondo in cui viviamo, se chi ne subisce la violenza pensa di usare la censura di un dato conoscitivo, non considerato falso, per difendersi dalla regina dell’ignoranza: la discriminazione. In una società mistificante la mistificazione si insinua sovrana tra i forti e i deboli, tra i cattivi e tra i buoni. Come si è arrivati a una situazione in cui la comunità LGBT, nata in un paese particolare, gli Stati Uniti, in cui tutto si traduce in sigle e dove il termine ‘esperienza’ è sostituito da quello di ‘comportamento’, considera la ‘“scelta” un’offesa? Cosa c’è di male nell’essere omosessuali o eterosessuali “per scelta”?
Si afferma, giustamente, che l’anatomia non è destino, una gabbia, per rivendicare il diritto di non sentirsi prigionieri del proprio sesso. E, con chiara incoerenza, si afferma, al tempo stesso, che la sessualità omosessuale debba essere geneticamente, ferreamente determinata. Dimenticando che il razzismo in tutte le sue forme deve necessariamente appoggiarsi alla diversità/inferiorità congenita dell’altro (e poco importa cosa dicono i genetisti). Dove regna l’ideologia della predestinazione, la differenza la fa il potere degli uni sugli altri.

L’aggressione millenaria all’omosessualità è il derivato di un attacco alla sessualità (in primo luogo quella femminile) e alla libertà della sua espressione.

La sessualità è il nucleo centrale del “gusto” del vivere. I nostri “gusti” sono oggetto di influenze genetiche, culturali, socioeconomiche, psicologiche, ma sono pure il prodotto di un nostro continuo scegliere che ha a che fare con l’esperienza vissuta. Se hanno una loro intima coerenza, una costanza nella flessibilità, è perché così acquistano profondità, intensità e complessità, non perché l’ha prescritto il Signore.