euroasia

«L’eurasiatismo, in quanto dottrina, incorpora l’idea di Rivoluzione Conservatrice. È un anti-occidentalismo attivo, che conosce la modernità dall’interno, ma la rifiuta in nome della Tradizione». Si tratta di «una lotta esistenziale, ideologica e metafisica, contro l’americanismo, la globalizzazione e l’imperialismo dei valori occidentale (la «società aperta», i «diritti dell’uomo», la società di mercato, e via dicendo)». Nelle parole che Aleksandr Dugin, uno degli intellettuali dell’estrema destra russa più noti a livello internazionale, e più ascoltati negli ambienti del potere moscovita, ha affidato al libro-intervista pubblicato insieme al capofila della nouvelle-droite Alain de Benoist (Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica, Edizioni Controcorrente), l’orizzonte ideologico dell’utopia antidemocratica che ha sedotto gli identitari europei delle ultime generazioni, ha il profilo di un inquietante «ritorno al futuro».

Sviluppatosi a metà dell’Ottocento in seno alle correnti slavofile della cultura russa e quindi ripreso dalla diaspora zarista dopo il 1917 e in qualche raro settore «nazionalbolscevico» all’interno dell’Urss, il progetto politico e culturale dell’Eurasia che postula la necessità per la Russia di preservare la sua identità guardando ad Est e definendo un proprio spazio geopolitico sganciato sia dall’Occidente atlantico che dall’Estremo oriente, ma potenzialmente alleato con la Vecchia Europa, è riemerso in modo potente dopo la fine dell’Unione Sovietica, fino a divenire negli ultimi anni una delle filiere culturali che alimentano il modello autocratico di Putin. E una delle chiavi che spiegano il crescente seguito che l’uomo forte del Cremlino trova presso le destre europee.

Se del premier russo, dalla Lega al Front National, passando però anche per Casa Pound e Pegida, sono apprezzati soprattutto la difesa della «famiglia tradizionale», e le sortite omofobe, l’enfasi posta sul bisogno di preservare le identità dei popoli, e la battaglia contro gli immigrati, la politica estera muscolare e l’apologia degli «eterni valori cristiani», il collante più saldo, anche se meno visibile, con questo ambiente politico è rappresentato dalla proposta eurasiatista che offre implicitamente una sponda a chi si oppone alla Ue in nome delle piccole patrie. Infatti, come spiega Dugin, «la guerra condotta dalla Russia contro l’occidentalizzazione non è soltanto una guerra locale, ma l’avanguardia di una guerra universale di tutti i popoli contro questa minaccia. La Russia si è sempre considerata portatrice di una missione che va al di là delle sue frontiere».

Evocata dai suoi sostenitori alla stregua di una nuova cultura della crisi, in questo caso della posmodernità, come quella che espresse Oswald Spengler e Carl Schmitt, due autori spesso citati da Dugin accanto al binomio del tradizionalismo, René Guénon e Julius Evola, la prospettiva eurasiatica non si misura del resto soltanto con i «grandi spazi» della geopolitica, ma suggerisce anche una possibile uscita a destra, nel segno di una sorta di «democrazia organica», dalla crisi della rappresentanza. «La Russia-Eurasia quale espressione di un impero di dimensioni continentali – suggerisce Dugin -, esige un proprio modello di direzione. Imitare le norme della “democrazia liberale” europea è insensato, impossibile e dannoso. La democrazia occidentale non rappresenta un criterio universale. La partecipazione del popolo della Russia alla direzione politica non rifiuta la gerarchia. Si può persino immaginare una monarchia democratica o un sistema autoritario democratico».

Docente di sociologia all’Università di Mosca, già consigliere dello stesso Putin, che ha moltiplicato negli ultimi anni i riferimenti pubblici alle tesi eurasiatiche, Dugin, che ha tradotto in russo alcune opere di Evola, e vanta un passato di attivista dapprima tra i neozaristi di Pamjat e nel Partito nazionalbolscevico di Limonov, e quindi tra gli ultranazionalisti pro-Cremlino di Rodina, è stato anche il primo a far conoscere nel paese le tesi sull’«impero delle differenze» dello stesso Alain de Benoist che avevano in passato attratto una gran parte della nuova destra europea, a partire dalla Lega. In questo senso, il «ritorno dell’Eurasia» porta a compimento un lungo percorso di ricerca dell’egemonia da parte della cultura più radicalmente anti-illuminista che si sia espressa negli ultimi decenni e che sembra aver fatto della Russia odierna il proprio principale laboratorio sociale.