Il 4 novembre il direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per le Marche, Marco Ugo Filisetti, ha inviato a tutti gli «studenti delle scuole marchigiane» un sorprendente messaggio.
Il messaggio invia un «reverente pensiero» a «tutti i figli d’Italia che diedero la loro vita per la Patria».Ovvero, a quelli che, al contrario dei «prudenti», dei «pavidi», di quelli «che scendono in strada a cose fatte per dire: «Io c’ero», combatterono «per dare un senso alla vita, alla vita di tutti, comunque essi la pensino».

Evidentemente, per il dirigente il 4 novembre è ancora, come cento anni fa, il giorno delle polemiche contro gli imboscati, della condanna di chi si oppose a quella carneficina, della vittoria nella prima guerra mondiale, e non certo il giorno dell’Unità nazionale. È una retorica nazionalistica che nell’Europa di oggi, nata proprio dalla promessa reciproca di non ripetere più tragedie come quella del 1914-1918, suona fuori luogo.

Ma sono le ultime righe a suscitare vero stupore: «quello che siamo e saremo – si legge – lo dobbiamo anche a Loro e per questo ricordando i loro nomi sentiamo rispondere, come  nelle trincee della Grande Guerra all’appello serale del comandante: PRESENTE!».
Il dirigente già si è segnalato in passato per uscite discutibili, come quando, chiamato a intervenire nel 2018 in una scuola a cent’anni dalla fine della Grande guerra, e per ricordare gli studenti morti in combattimento, aveva dato vita a una scena surreale. Dopo essere andato al microfono, aveva infatti letto, uno a uno, i nomi dei caduti. A ogni nome, aveva fatto seguire il grido: «Presente!». Poi, dopo aver lanciato con tono marziale un ultimo grido, «Onore ai caduti!» era tornato al suo posto, senza aggiungere null’altro. Studenti, insegnanti e invitati avevano così assistito inaspettatamente alla messa in scena del tipico appello che apriva le riunioni dei gruppi fascisti – e di quelli neofascisti dopo il 1945 – per ricordare i nomi dei caduti nel corso degli scontri con forze dell’ordine o avversari.

Ora, come il lavoro di alcune generazioni di storici ha dimostrato, la partecipazione alla Grande guerra è stata anche espressione di idealità di varia origine, tutte accomunate però dalla convinzione che la guerra rappresentasse la soluzione ai mali del presente. E ha indubbiamente svolto un ruolo importante nella nostra storia nazionale. Ma, ciò non toglie che sia del tutto fuori luogo ogni retorica della «bella morte» di fronte a una tragedia pagata con la perdita di circa 10 milioni di giovani, con un numero ancora maggiore di feriti, con milioni di mutilati e centinaia di migliaia di giovani impazziti o sfigurati.
Otto Dix, il grande pittore tedesco, combattente anche lui, ha trovato le parole giuste per descrivere la realtà bellica: «Pidocchi, ratti, reticoli, pulci, granate, bombe, fossi, cadaveri, sangue, grappa, topi, gatti, gas, cannoni, sporco, pallottole, mortai, fuoco, acciaio, questa è la guerra!», ha scritto.
È difficile, crediamo, augurare a un ventenne di affrontare quell’inferno.  Per unire il Paese, ci sono – e c’erano allora – altre strade, altre possibilità diverse dalla guerra. E comunque ci si deve avvicinare al passato con rispetto, per comprenderlo dall’interno, per entrare il più possibile negli occhi e nella mente dei suoi protagonisti; non per esaltarlo con facile e dubbia retorica a posteriori. La democrazia non ha bisogno di miti, né di riti unanimistici, ma di pensiero critico.

Il mito serve a consolidare il potere di chi già ce l’ha, il pensiero critico a esercitare controllo su come il potere viene esercitato. Non va poi dimenticata l’inopportunità del richiamo a quel rito anche di fronte alla condanna per apologia di fascismo emanata nei mesi scorsi dalla Corte di Appello di Milano nei confronti di alcuni esponenti di estrema destra. Nel marzo 2017, i condannati avevano infatti risposto con saluti romani alla «chiamata del presente», durante la commemorazione, al cimitero Monumentale, dei caduti della «rivoluzione fascista» e della fondazione dei Fasci di combattimento.

Dispiace doppiamente, quindi, che chi ricopre un incarico così importante abbia scritto quelle parole.

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I docenti di storia delle Università
marchigiane:
Francesco Bartolini (Univ. di Macerata), Edoardo Bressan (Univ. di Macerata), Gennaro Carotenuto (Univ. di Macerata), Uodelul Chelati Dirar (Univ. di Macera),
Paolo Giovannini(Univ. di Camerino), Roberto Giulianelli (Univ. Politecnica delle Marche),
Jacopo Lorenzini (Univ. di Macerata), Amoreno Martellini (Univ. di Urbino),
Sabina Pavone (Univ. di Macerata),
Riccardo Piccioni (Univ. di Macerata),
Anna Tonelli (Univ. di Urbino),
Angelo Ventrone (Univ. di Macerata);
Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nelle Marche – Ancona; Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione nelle Marche e dell’Etàcontemporanea – Ascoli Piceno;
Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea “M. Morbiducci”, Macerata;Istituto di Storia contemporanea della Provincia di Pesaro e Urbino