Nel dicembre 1992 Franco Battiato, in una delle sue frequenti sortite in Medio Oriente, tiene un concerto di supporto alla campagna italiana Un ponte per Baghdad, accompagnato dai Virtuosi italiani e dalla Irali concerto. Il reportage di Laura Guazzone apparso sul manifesto dell’11 dicembre…

 

Anni fa le radio private curde in Turchia trasmettevano in continuazione Le strade dell’Est, la canzonne di Battiato che parla di Barzani, il mitico capo del Partito democratico del Kurdistan, «spinto dai turchi e dagli Iracheni». Che fosse il ritmo della musica o la menzione del nome proibito a farne un hit in qi National Symphony Orchestra, non è un episodio isolato nel percorso di questo musicista, non è una cattedrale nel deserto. Anche se di deserto la carovana di Battiato ne ha dovuto attraversare tanto, morale e materiale, per giungere via terra da Amman alla capitale irachena isolata dall’embargo internazionale. Sanremo e l’accompagnamento di violini, così simile a quello delle canzoni popolari arabe contemporanee, risuonava da un capo all’altro della Tunisia, facendo del brano in cui si parla dell’oasi tunisina un successo che dura ancora. Di sicuro il concerto che Franco Battiato ha tenuto venerdì scorso nel Teatro Nazionale Baghdad, accompagnato dai Virtuosi Italiani e dalla Irali concerto, prodotto con Videomusic che lo trasmetterà integralmente la notte del 24 dicembre, fa da battistrada al lancio di una campagna di aiuto all’infanzia irachena sostenuta dall’Unicef italiana. La carovana di Battiato ha anche portato alla Croce Rossa irachena medicinali altrimenti introvabili per un valore di 50 milioni e facilitato l’opera della campagna italiana «Un ponte per Baghdad», che ha organizzato l’invio in Italia per cure mediche di otto bambini iracheni. Tuttavia, il significato culturale dell’opera di Battiato va ben aldilà dei pur importanti gesti di solidarietà verso un popolo martoriato dalle infinite guerre imposte dal regime e dalle strumentalizzazioni occidentali di quello stesso regime, prima baluardo contro la minaccia iraniana e oggi ostracizzato ma di fatto tenuto in vita per timore che dalla liberazione politica dell’Iraq possano nascere svilupppi democratici imbarazzanti per i preziosi alleati regionali. Le contaminazioni orientali della musica di Battiato, che nel concerto di Baghdad si sono spinte a mescolare gli organici delle due orchestre, a cantare in arabo L’ombra delle luce e a reinterpretare una canzone popolare irachena, Fog an-Nakhi (Sopra la palma), svolgono una vera funzione di comunicazione interculturale. Vicina geograficamente al Nord Africa, l’Italia resta sorda alle voci che provengono dal Mediterraneo e, attraverso questo, dal Vicino Oriente. Attraverso percorsi personalissimi e non programmatici, rispondendo a sollecitazioni che sono inferiori prima ancora che culturali e musicali, Battiato porta in Italia l’eco di questa ricchissima babele di voci del Sud.

E GLI ECHI che di queste voci popolari dei violini di Tozeur e quelli più profondi e antichi della tradizione mistica riflessa nei testi. Ancora più importante è la comunicazione tentata verso Oriente, di cui il concerto di Baghdad è stato forse solo il primo passo. E’ difficile sottovalutare l’importanza che può assumere, in un momento in cui i muri tra Nord e Sud rischiano di sostituire quelli tra Est e Ovest, la penetrazione nel mondo arabo di voci che portino un’immagine diversa dell’Occidente. Un europeo che scelga una preghiera per aprire il proprio concerto, come ha fatto Battiato a Baghdad cantando l’Ombra della luce, può scuotere il muro che gli integralisti erigono ogni giorno tra l’Occidente materialista e l’Oriente spirituale. Un occidentale che canti i sentimenti umani più universali – amore, rimpianto, senso del tempo – attraverso i lieder di Brahms come con Mesopotamia, una canzone che parla di Sumeri e del mistico Isacco di Ninive, può spingere al dialogo, a ripensare gli schieramenti. E il pubblico del Teatro Nazionale di Baghdad, piccoli funzionari di governo e intellettuali, ha ascoltato con emozione vera Battiato cogliendo forse messaggi che, nel profondo, erano molto più rivoluzionari di quelli che il vice-primo ministro cristiano Tariq Aziz, guardato a vista da un nugolo di guardie del corpo, poteva immaginare. Forse ci sarà un’altra occasione, forse l’opera su Gilgamesh, il mitico eroe mesopotamico, che Battiato ha messo in scena quest’anno al Teatro dell’Opera di Roma, sarà rappresentata al festival annuale di Babilonia. Intanto, un primo ponte verso la gente di Baghdad è stato ricostruito