I Il 24 luglio scorso il presidente francese Emmanuel Macron ha proceduto ad una pioggia di nomine nell’ambito degli istituti culturali: il Centro Pompidou, il Palais de Tokyo, la Femis. La più attesa era quella de Centro Nazionale di Cinematografia. Bisogna sapere che, ogni anno, il Cnc raccoglie circa due miliardi di euro dai proventi della distribuzione delle opere audiovisive che redistribuisce a tutta la filiera. Il modello è semplice nel concetto e complesso nella sua architettura. Ha i suoi limiti e di sicuro potrebbe essere ridisegnato.

Ma nel suo complesso garantisce la produzione di una pluralità impressionante di forme d’espressione cinematografiche che riescono a coesistere dentro, al di là o ai margini del mercato. Il ministro della Cultura André Malraux, nel lontano 1966, affermava che la creazione e la cultura in genere non dovevano essere lasciate alle «fabbriche dei sogni», perché «il privato non ha come fine l’essere umano, ma il denaro».
Questa concezione – che la Francia uscita dalla resistenza estendeva a tutti gli ambiti essenziali della vita umana: l’educazione, la salute, la previdenza – è stata attaccata con continuità sia dai neogollisti che dai socialisti a partire dagli anni novanta.

MA L’ELEZIONE di Macron ha segnato un salto di qualità che i liberisti più sfrenati un tempo non potevano che sognare. In due anni Macron ha imposto una rivoluzione thatcheriana a tutti i settori sopra elencati e ad altri ancora. Quelli, non pochi tra gli intellettuali e gli artisti, che ieri storcevano il naso davanti ai Gilets Jaunes, oggi hanno paura per il proprio futuro. Pensavano di aver fatto barriera al fascismo turandosi il naso e votando per lui, si svegliano oggi con un regime che coniuga il liberismo economico all’autoritarismo politico, che da un lato spara con armi da guerra sulla propria popolazione, reprime la libertà di pensiero, concede impunità assoluta alla polizia, dall’altro invita il capitale privato ad accaparrarsi di tutto ciò che, dalle risorse naturali alle istituzioni, può essere considerato bene comune.

IL NUOVO PRESIDENTE del Cnc si chiama Dominique Boutonnat. È produttore di film di successo (Polisse, Il Truffacuori, Quasi amici). Vicino al presidente, Boutonnat è stato anche uno dei primi grandi finanziatori della campagna di Macron – come rivelato dalle carte del «Macron Leaks». È anche autore di un rapporto sul cinema, chiesto dal governo e pubblicato nel maggio scorso e che da oggi è il programma di riforma del settore. Per riassumere, Boutonnat individua nel cinema in genere una missione – fare denaro – e una necessità: farla finita con il sistema di redistribuzione dei ricavi. Il cinema sarà finanziato solo da capitale privato. Il suo nome era nell’aria. E aveva suscitato diverse reazioni tra cui una lunga lettera pubblica di un collettivo di 70 cineasti (tra cui Jacques Audiard, Laurent Cantet, Arnauld Desplechin) in cui si denuncia da un lato il nepotismo e dall’altro il progetto.

SUL GIORNALE «Le Monde», la regista Axelle Ropert ha pubblicato un testo personale («Nous, cinéastes français on n’en peut plus», 3/07/2017) nel quale con grande efficacia descrive quello che stiamo per perdere; e a che punto questa nomina distrugge un patrimonio che è fatto da un lato di opere e dall’altro di persone. Il liberismo vuole che in tutti i settori della vita si applichino i medesimi rapporti di lavoro. E i suoi intellettuali organici sono riusciti, perfino in Francia, a far passare l’idea che tutti quelli che si oppongono alla libera concorrenza sono o dei fannulloni e dei parassiti o entrambe le cose. Il presidente Macron, da parte sua, ha fatto sapere che queste critiche sono prive di fondamento, e, come previsto, ha proceduto alla nomina di Boutonnat.