C’è il rischio che, dopo quarant’anni di regno incontrastato, a pochi mesi dall’anniversario della Rivoluzione del 1979 gli ayatollah di Teheran siano costretti a cedere la poltrona ai militari. Resta da vedere se ai generali delle forze armate regolari, oppure ai pasdaran e alle milizie di cui l’ex presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad è l’emanazione politica più conosciuta. E sono loro, i pasdaran, che in questi decenni di guerre, isolamento e sanzioni hanno tratto maggior vantaggio, anche economico. Complice anche la presenza dell’Isis in Siria e in Iraq, di cui i pasdaran hanno indubbiamente contribuito ad arrestare l’avanzata, guadagnando crediti in patria e all’estero.

 

[do action=”quote” autore=”Jamileh Kadivar”]Trump non vuole che in Medio Oriente ci sia un paese forte e indipendente, preferisce una Repubblica islamica debole e obbediente. Per questo la sua guerra economica punta a indebolire il potere degli ayatollah. In questo Israele e Arabia saudita sono ovviamente con lui[/do]

 

DECIFRARE la complessa situazione che sta attraversando l’Iran non è facile. L’Occidente ha sbattuto, ancora una volta, la porta in faccia alla Repubblica islamica e ai suoi cittadini: i paesi dell’Unione europea raramente concedono loro un visto di ingresso, e il presidente statunitense Donald Trump li ha inseriti nel decreto contro i musulmani, impedendo di chiedere il visto con la procedura semplificata. Di fronte a questi rifiuti, che hanno una valenza morale, a poco serve potenziare il business con l’India, l’Afghanistan e le repubbliche dell’Asia Centrale investendo nel porto di Chabahar e nella sua zona di libero scambio, sul Golfo persico.

AD AIUTARCI A COMPRENDERE le vicende più recenti è Jamileh Kadivar, deputata riformista nel governo Khatami e braccio destro di Karrubi nel movimento d’opposizione del 2009 noto come Onda verde. Se gli altri esponenti dell’Onda verde sono agli arresti domiciliari dal 2011, Jamileh Kadivar vive a Londra, in esilio. Martedì è stata ospite del festival Taobuk di Taormina per discutere del ruolo delle donne nella Rivoluzione del 1979. Dalla Sicilia, abbiamo seguito attraverso i social media le proteste dei bazar di Teheran, Kermanshah e Arak. Proteste di cui sono protagonisti i mercanti, che si ostinano a tenere chiuse le loro botteghe malgrado il volere contrario della polizia.

Ed è da Twitter che arrivano messaggi inquietanti: «Alcuni chiedono le dimissioni del presidente moderato Hassan Rohani. Altri fanno pressione affinché sia avviato un processo di impeachment, tralasciando il fatto che a votarlo erano stati diversi milioni di cittadini: dicono che si deve togliere dai piedi! Tanti altri sostengono sia meglio sostituire Rohani, che veste l’abito e il turbante del religioso sciita, con un presidente con la divisa dei militari».

CERTO È CHE LE PROTESTE di questi giorni sono il segnale di un forte malessere popolare, legato alla mancata ripresa economica perché gli americani non hanno rispettato l’accordo nucleare e hanno mantenuto in essere le sanzioni finanziarie, alla corruzione diffusa, al divario sempre più ampio tra classi sociali e all’impunità di fronte alla magistratura di coloro che guadagnano assai facendo contrabbando.

UN MALESSERE EVIDENTE, che non è stato sedato dalle emozioni scatenate dalla nazionale di calcio in questi mondiali. Secondo Jamileh Kadivar è anche mentale: «Oltre alla vulnerabilità dell’economia, nel paese si è scatenata una guerra psicologica perché sono in tanti a soffrire per il deterioramento delle condizioni di vita, sono arrabbiati, non vedono speranza nel futuro e sono in attesa che succeda qualcosa».

Se qualcuno ipotizza che dietro alle proteste possano esserci poteri occulti, di matrice occidentale e israeliana, in realtà gli iraniani hanno ottimi motivi per lamentarsi e non servono interferenze straniere. E gli iraniani sono troppo nazionalisti per dare ascolto al premier israeliano Netanyahu,che ha più volte invitato il popolo iraniano a ribellarsi contro il sistema e il governo della Repubblica islamica.

Sono invece molto più efficaci, nel loro intento di destabilizzazione, le posizioni anti-iraniane e guerrafondaie del presidente statunitense Donald Trump, che certo non contribuiscono ad alleviare le tensioni: «Trump non vuole che in Medio Oriente ci sia un paese forte e indipendente, preferisce che la Repubblica islamica sia debole e obbediente. Per questo ha dato avvio a una guerra economica con l’obiettivo di indebolire il più possibile gli ayatollah al potere. In questo conflitto, Israele e l’Arabia saudita sono ovviamente dalla parte degli americani», commenta Jamileh Kadivar.

IN ALTRI TERMINI, se a Teheran prenderanno il potere i militari, dovremo dire grazie a Donald Trump: a forza di insistere, è riuscito nel suo intento.