Stesse «osterie» (la Dc, gli studi dai salesiani e la laurea in medicina), stesso palazzo (la presidenza della Regione siciliana), stesso destino (condanna per reati di mafia). Le vicende politiche e giudiziarie di Raffaele Lombardo si sovrappongono a quelle del suo predecessore Salvatore Cuffaro. Il fondatore del Movimento per l’autonomia, con un passato nella balena bianca, è stato condannato, in abbreviato, dal gup di Catania Marina Rizza, a sei anni e otto mesi di reclusione (e un anno di libertà vigilata) per concorso esterno in associazione mafiosa e contestualmente assolto dal reato di voto di scambio. La procura aveva chiesto dieci anni. Lo stesso giudice ha anche rinviato a giudizio il fratello di Lombardo, Angelo, ex deputato nazionale del Mpa, per entrambi i reati e ha fissato l’udienza per il prossimo 4 giugno.

«Me l’aspettavo, è l’epilogo naturale del primo grado di giudizio, ma non finisce qui: seguiremo tutte le strade legali per dimostrare la mia innocenza. Sono di una serenità infinita», ha detto Lombardo, 63 anni, psichiatria forense, che nella sua tesi di laurea ha studiato il nesso tra tradizioni popolari e costruzioni deliranti.

Per il giudice sarebbero provati dieci anni di contatti con il clan Santapaola-Ercolano, ma non quelli con il clan Cappello. È la prima volta che per un presidente della Regione Siciliana è emessa una sentenza di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa (Cuffaro era stato condannato a 7 anni per favoreggiamento alla mafia bell’indagine sulle talpe alla procura di Palermo).

L’inchiesta Iblis dei carabinieri del Ros viene a galla nel novembre del 2010. Lombardo, che nel 2000 è stato vicesindaco di Catania e tre anni dopo eletto presidente della Provincia etnea, nel 2008 era diventata una star nazionale, alleandosi alle politiche con il Pdl e la Lega Nord. Alcune immagini lo ritraggono insieme a Roberto Calderoli, che con pantaloni arancione e camicia verde affianca l’austero autonomista siciliano, le cui scale cromatiche variano tra blu e grigio. Nello stesso anno, dopo le dimissioni di Cuffaro da presidente della Regione, diventa governatore della Sicilia ottenendo il 64% delle preferenze e doppiando per numero di voti la senatrice del Pd Anna Finocchiaro, il cui partito, nel 2010, poco prima che si sappia dell’indagine sul governatore, diventerà il principale alleato di Lombardo, partecipando a una giunta cosiddetta tecnica. Grazie alla corte dei democratici, il lanciatissimo presidente della Regione abbandona l’alleanza di centrodestra che l’ha eletto. Il Pd, richiamandosi a un garantismo degno di miglior causa, continua a rimanergli accanto. Il 31 luglio 2012 Lombardo si dimette, annunciando il suo ritiro dalla vita politica per dedicarsi all’agricoltura. In verità, trascorre molto tempo nelle aule di giustizia, cercando di spiegare ai magistrati (molto perplessi) che il suo forte consenso popolare non deriva dalle clientele e, soprattutto, dagli ambienti della criminalità organizzata.

Nata da uno stralcio dell’indagine Iblis dei carabinieri del Ros di Catania su presunti rapporti tra Cosa nostra, politica e imprenditori, l’inchiesta per i fratelli Lombardo era sfociata in un processo per reato elettorale davanti al giudice monocratico. La Procura ha poi presentato una richiesta di archiviazione per concorso esterno all’associazione mafiosa che il Gip Luigi Barone, in camera di consiglio, ha rigettato disponendo l’imputazione coatta. Nel frattempo i pm hanno contestato l’aggravante mafiosa per il reato elettorale. Le accuse dei due procedimenti sono confluite in un unico procedimento davanti al Gip Marina Rizza, mentre la Procura ha depositato nuove accuse.

«Abbiamo fatto un lavoro importante, con un ufficio unito che ottiene un bel risultato – ha detto il procuratore di Catania, Giovanni Salvi, -. Oggi è avvenuto un fatto storico: si ha per la prima volta la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa per un presidente della Regione siciliana. Frutto di un lavoro importante che ha avuto anche collaboratori importanti a sostegno dell’accusa».