Da oggi e fino al 31 gennaio, la Lombardia è in zona rossa. Attilio Fontana la definisce una «punizione» ma i dati parlano chiaro. Anzi, chiarissimo: la regione è ancora prima per numero di casi: 2.134 ieri con 78 morti, secondo i dati del ministero della Salute, seguita dalla Sicilia. Il presidente leghista, dopo l’annuncio di voler presentare lunedì ricorso al Tar del Lazio per la decisione del ministro Speranza, ha scritto una lettera indirizzata non solo alla sede del Lungotevere Ripa, ma anche al ministero degli Affari Regionali.

NEL TESTO CHE I MINISTRI Speranza e Boccia si sono visti recapitare, il governatore leghista chiede di rivedere l’ordinanza che assegna il massimo livello di rischio alla sua regione e assicura che i dati sui cui si è basato il monitoraggio sono «vecchi di 17 giorni, perché prendono in considerazione un Rt-sintomi del 30 dicembre». La lettera di Fontana è stata corredata da un «contro-dossier» che l’assessorato al Welfare, a guida della neo assessora Letizia Moratti, ha preparato per dimostrare la bontà dei dati regionali. È l’esordio dell’ex ministra nella querelle tra Milano e Roma che va avanti da mesi. Nella nota tecnica è indicato il dato settimanale dal 4 al 10 gennaio (13.469 casi), comparato con quello della settimana precedente (13.721), ovvero quella – secondo Fontana – presa in analisi dalla Cabina di regia.

L’obiettivo del governatore è di ribaltare il criterio di monitoraggio del Cts: non più basato sull’indice Rt ma sui contagi ogni 100mila abitanti, un dato che, tradotto in percentuale, favorirebbe regioni popolose come la Lombardia. Fontana prova a insistere: «Questa mia considerazione assume ancora più rilevanza alla luce del fatto che sono state abbassate notevolmente le soglie di Rt in base alle quali si applicano le misure più restrittive», si legge nella lettera.

NESSUNA RISPOSTA, per ora, dal ministro Speranza che ieri ha firmato l’ordinanza. La contestazione, comunque non si placa: Fontana non arretra sulla decisione di fare opposizione – ricorso che verrà presentato la prossima settimana – e a dargli manforte ci pensa il suo “superiore”. Matteo Salvini, dopo aver riunito lo stato maggiore del partito in via Bellerio, a Milano, ha definito la decisione di Speranza «un torto nei confronti dei lombardi», generato da «criteri punitivi».

C’era da aspettarsi anche le critiche di Confindustria: il presidente degli imprenditori lombardi, Marco Bonometti, chiede «regole chiare che non compromettano la produttività». Qualche lamentela e una richiesta di deroga anche da due sindaci di centrosinistra: Giorgio Gori a Bergamo e Gianluca Galimberti a Cremona.

Entrambi sostengono che nelle loro città si possano applicare criteri da zona arancione, visti i dati in controtendenza con quelli di altre realtà. Ma il problema è sempre lo stesso: la poca trasparenza dei dati. Dopo quasi un anno dall’inizio della pandemia, i numeri relativi all’incidenza del virus elaborati dalla Regione non sono accessibili. Così, i cittadini non sanno dove ci si contagia. Per non parlare, poi, del tracciamento dei positivi saltato da mesi e dell’insufficiente assistenza sanitaria sul territorio, di cui il problema scuola è solo uno degli effetti.

CHIEDE TRASPARENZA bipartisan il sindaco di Milano, Beppe Sala: «Governo e Regioni, che hanno condiviso la decisione che se l’Rt è sopra l’1,25 si va in zona rossa, dovrebbero comunicare in modo univoco i dati sui quali vengono prese le decisioni, altrimenti si rischia di scavare un solco tra le persone e chi gestisce la cosa pubblica».

Dura, invece, la replica della sottosegretaria Pd ai Rapporti con il Parlamento, la lombarda Simona Malpezzi, che parla di «polemiche fuorvianti perché nascondono la mancanza di trasparenza sui numeri che dalla prima ondata hanno contraddistinto l’operato della Regione».