È arrivato intorno alle 15 di ieri pomeriggio il primo paziente covid all’Ospedale della Fiera di Milano che riapre i battenti in una situazione sanitaria regionale già in crisi a sole due settimane dall’inizio della recrudescenza del virus. Il paziente è un 50enne proveniente da un altro ospedale del milanese, sottoposto direttamente in Fiera a una tac al torace e al cervello. Nel corso della giornata si arriverà a quota sei pazienti totali che vanno a occupare parte del primo modulo da 14 posti dell’astronave di Guido Bertolaso, che per primo ne aveva annunciato la riattivazione.

Il paradosso di questa riapertura, però, in una regione che ieri ha registrato 4.916 nuovi positivi al coronavirus, e più di mille solo a Milano, su 36.963 tamponi processati e oltre 350 ricoveri, è che insieme ai pazienti – trasferiti da strutture ospedaliere in sofferenza – vengono spostati anche i sanitari. I tre anestesisti e altrettanti infermieri in servizio da ieri pomeriggio alla Fiera sono stati infatti dirottati dal Policlinico di Milano dal quale dipende la gestione del covid hospital. Una soluzione che già nei giorni scorsi, quando era stata paventata dai più pessimisti, aveva fatto drizzare i capelli ad associazioni di categoria e medici, stremati dal lavoro della scorsa primavera.

Perché si sia arrivati a questo è presto detto: nei mesi scorsi, quando i vertici della sanità lombarda erano impegnati a difendere il proprio operato per restare ancorati alla poltrona, non sono stati reclutati nuovi medici e infermieri per affrontare la ampiamente prevista seconda ondata. Come dimostrano i bandi per nuovo personale andati deserti. Bertolaso, che «non è più commissario dell’Ospedale», come ha precisato il governatore Fontana, ha bollato come «risposta burocratica» il problema della mancanza di sanitari, assicurando – non si capisce bene su quali dati – che il personale c’è e che «se mai serve una chiamata generale per medici e infermieri». L’ex supervisore assicura che siamo «pieni di sanitari» senza ricordare però che per assistere un paziente in rianimazione occorrono competenze specifiche.

«Si potevano utilizzare i mesi di relativa calma estiva per formare parte dei professionisti attualmente in servizio all’utilizzo dei macchinari della terapia intensiva», lamentano alcuni medici di un ospedale meneghino. «Un ventilatore e un letto da soli non fanno una terapia intensiva», spiega il medico e consigliere regionale di + Europa Michele Usuelli. «Il problema, ora come a marzo e aprile, sono le risorse umane. Non ce ne sono di nuove», aggiunge.

Infatti, l’ultima delibera regionale è molto chiara nel demandare – pilatescamente – a otto ospedali Hub lombardi gli altrettanti moduli in Fiera da gestire con personale proprio. Non si sa quanto potrà reggere questa gestione frazionata del personale, visto che sembrano essere già saturi i posti di terapia intensiva aggiuntivi. È di ieri, infatti, la denuncia dell’Adl Cobas Lombardia, per bocca del portavoce, Riccardo Germani: «Anche l’ultimo posto disponibile a Pavia sembra essere stato occupato. Dal 15 ottobre a oggi siamo passati da 64 posti letto occupati alla saturazione di tutte le terapie intensive lombarde», spiega Germani in una nota. «In questi mesi avrebbero dovuto incrementare di 463 posti letto le terapie intensive in Lombardia, ma così non è stato, la nostra vita vale sempre meno dei profitti».

Non è un caso che la Regione abbia deciso di riattivare anche l’ospedale fieristico di Bergamo costruito dagli Alpini. «Come abbiamo sempre detto, ogni posto in più in terapia intensiva era, è e sarà utile, ma il progetto di Fiera è tecnicamente fallimentare, lo dimostra lo scarso utilizzo in passato e il fatto che oggi si ragiona di poche unità di terapia intensiva», commenta il consigliere regionale Pd Pietro Bussolati. «Completamente diverso – aggiunge – è il caso di Bergamo, progetto prima osteggiato e poi sposato dalla giunta Fontana, e oggi paragonato a quello di Fiera, anche se si tratta di una struttura mista e quindi di utilizzo flessibile e multispecialistico».

Intanto non è escluso che nei prossimi giorni verranno istituite zone rosse circoscritte alle aree di Milano, Varese e alle altre province già messe a dura prova dalla seconda ondata.