Il passo indietro a sorpresa di Bobo Maroni, confermato ieri di fronte al consiglio regionale lombardo e poi in conferenza stampa, ha spiazzato sia Matteo Salvini che Silvio Berlusconi. Ma la sorpresa non è stata sgradita ai due alleati-rivali in egual misura. Su un punto però le preoccupazioni del capo leghista, che dire imbufalito è poco, e quelle di Arcore coincidono: il fronte delle regionali lombarde. Maroni aveva la rielezione in tasca. Ma con il governatore messosi da solo fuori gioco il Pd vede uno spiraglio di luce: «La partita è più aperta che mai», aveva sentenziato in mattinata su Fb Renzi e il candidato del Pd Giorgio Gori aveva colto l’occasione al volo con un appello rivolto a LeU: «Sarebbe difficile spiegare agli elettori che in questa Regione dove abbiamo l’opportunità di voltare pagina i percorsi siano diversi. La porta non è aperta: è spalancata». A chiuderla ha però provveduto subito proprio LeU: «Non ci sono le condizioni e mercoledì l’assemblea regionale di LeU indicherà il suo candidato». Non poteva andare diversamente.

ALL’INTERNO del movimento capeggiato da Grasso la tensione è già alle stelle per la determinazione del presidente del Senato nel voler sostenere Zingaretti nel Lazio. Aggiungere al già esplosivo paniere anche Gori in Lombardia sarebbe fatale.
La chiusura di LeU fa tirare un sospiro di sollievo a Forza Italia. Anche se ieri i forzisti hanno rilasciato dichiarazioni a raffica a sostegno della possibile candidatura Gelmini, Berlusconi è del tutto consapevole di non poter rimettere in discussione la «quota» leghista, a maggior ragione dal momento che salgono nel Lazio le quotazioni della candidatura forzista di Maurizio Gasparri mentre scendono quelle del sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, che però si dice pronto a ritirarsi solo se la suo posto corresse Giorgia Meloni. Il candidato sarà dunque Attilio Fontana, ex sindaco di Varese, indicato ieri sera per acclamazione dal Consiglio nazionale della Lega lombarda. Fontana ha la benedizione sia di Salvini che del governatore uscente. Fi lo sosterrà a spada tratta, anche se solo oggi arriveranno gli attesi sondaggi commissionati all’immancabile Ghisleri. Ma il partito azzurro è consapevole di dover costruire in poche settimane una candidatura che al momento è, per usare un eufemismo, molto meno forte di quella di Maroni mentre sino a ieri considerava la partita lombarda già vinta senza neppure doversi impegnare.

SUL PIANO nazionale, invece, la mossa a sorpresa di Bobo Maroni non ha turbato affatto Silvio Berlusconi. I due sono legatissimi, solo a dicembre si sono incontrati più volte e va da sé che tra il suo ex ministro del Lavoro e degli Interni e Salvini l’ex Cavaliere preferisca di gran lunga il primo.
Nella conferenza stampa di ieri Maroni non ha neppure provato a nascondere il senso del suo passo indietro. Ha addotto i già notificati e non meglio specificati «motivi personali», chiarendo solo che non si tratta di salute, la quale per fortuna va benone. Quei problemi personali, però, valgono solo in Lombardia: «Metto a disposizione la mia esperienza, se sarà necessario. Certo non andrò in pensione». E casomai non fosse stato chiaro ricorda di sapere «cosa significhi avere responsabilità di governo».

Il centrodestra sente odore di vittoria. Il vertice domenicale di Arcore è andato bene, pur glissando sul nodo delicato della eventuale premiership e con le candidature del «quarto polo» nell’uninominale, come quelle vicine all’ex leghista Tosi, subordinate al giudizio di Salvini. Maroni sceglie quindi di rischiare e corre per una poltrona di ministro: possibilmente quella del Viminale, postazione che ha già occupato a lungo e che conosce bene. Però senza mettere limiti alla provvidenza. Se le circostanze lo permetteranno non è affatto escluso che l’ormai quasi ex governatore lombardo entri in lizza anche per la postazione più ambita. Lui nega e, pur ammettendo di ritenere «discutibili» alcune posizioni del capo, giura che «Salvini premier è una prospettiva che condivido e sostengo». Una di quelle dichiarazioni che davvero non costano nulla. Salvini è già fuori gioco per palazzo Chigi, a differenza proprio del detestato Robero Maroni.