Cristiani e musulmani costruiscano insieme la «fratellanza umana». Le religioni non siano utilizzate per legittimare violenze e conflitti. La prima giornata del viaggio in Iraq di papa Francesco si può riassumere in questi due appelli, ripetuti dal pontefice, ma anche dal presidente della repubblica Barham Salih e dal cardinal Louis Sako, presidente dei vescovi cattolici dell’Iraq e patriarca di Babilonia dei caldei.

ATTERRATO IERI alle 14 (le 12 in Italia) a Baghdad, dove è stato accolto dal primo ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi, papa Francesco si è subito recato al palazzo presidenziale per incontrare Salih, i componenti del governo, gli ambasciatori e i rappresentanti della società civile.

«L’Iraq ha patito i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse», ha detto, ricordando in particolare la minoranza degli yazidi, «vittime innocenti di insensata e disumana barbarie, perseguitati e uccisi a motivo della loro appartenenza religiosa, e la cui stessa identità e sopravvivenza è stata messa a rischio».

Quindi l’invito a valorizzare la storia e il mosaico dei popoli dell’Iraq: «La diversità religiosa, culturale ed etnica, che ha caratterizzato la società irachena per millenni, è una preziosa risorsa a cui attingere, non un ostacolo da eliminare. Oggi l’Iraq è chiamato a mostrare a tutti, specialmente in Medio Oriente, che le differenze, anziché dar luogo a conflitti, devono cooperare in armonia nella vita civile».

CHE «FRATELLANZA» e «pace» sono le parole chiave di questo viaggio in Iraq, paese a maggioranza sciita visitato per la prima volta da un pontefice romano, emerge anche dai testi citati da Francesco: l’enciclica Fratelli tutti, il documento sulla «fratellanza umana» firmato insieme al imam di Al-Azhar Ahmed Al-Tayyeb (massima autorità dell’islam sunnita), la dichiarazione conciliare Nostra Aetate sulle relazioni con le religioni non cristiane, il recente messaggio per la Giornata mondiale della pace.

Alla pace, anzi al disarmo, è dedicato un breve passaggio, rivolto ai «responsabili politici», anche se andrebbe indirizzato più ai governi occidentali che a quello iracheno: «Tacciano le armi, se ne limiti la diffusione qui e ovunque». E alla «comunità internazionale» l’appello a continuare ad aiutare e a cooperare con l’Iraq, ma «senza imporre interessi politici o ideologici».

Nella seconda parte del pomeriggio l’incontro con vescovi (non siate «manager, ma padri»), preti («siate pastori, non funzionari»), seminaristi, religiosi e religiose nella cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora della Salvezza, teatro, dieci anni fa, di un attentato in cui vennero uccise 48 persone (Roma ha avviato la causa di beatificazione come martiri).

«L’INCITAMENTO alla guerra, gli atteggiamenti di odio, la violenza e lo spargimento di sangue sono incompatibili con gli insegnamenti religiosi», «la religione deve servire la causa della pace», ha ricordato il papa.

Oggi la giornata centrale del viaggio: a Najaf la visita all’ayatollah Sayyid Al-Sistani, la più alta autorità dell’islam sciita, e l’incontro interreligioso presso la Piana dell’antica città sumera di Ur.