Non ha ancora perso una partita ai Mondiali. Imbattuto da 18 partite, nel 2014 in Brasile è stato fermato ai rigori proprio dell’Argentina. Louis Van Gaal, il profeta del calcio orange cresciuto con il mito di Rinus Michels e Arrigo Sacchi, è convinto che l’Olanda possa arrivare al traguardo. Superare oggi Leo Messi, l’Albiceleste, poi anche il Brasile – se i verdeoro dovessero superare l’esame Croazia – sino in finale, riportando gli olandesi dove sono stati fermati otto anni fa, finale dei Mondiali sudafricani, da un gol dello spagnolo Iniesta.

È uno dei personaggi di questa edizione discussa e discutibile della Coppa del Mondo. È cambiato negli anni, Van Gaal. Era un integralista piuttosto arrogante, che molto ha vinto e parimenti perso per le sue granitiche convinzioni tattiche. Due volte sulla panca dell’Ajax, esperienze al Barcellona, al Bayern Monaco, al Manchester United. Una carriera a suo modo unica. Intransigente, spavaldo, spesso critico proprio con il calcio italiano, speculativo, legato solo al risultato.

Nell’età adulta, dopo un grave problema di salute superato, tra l’altro mentre allenava, appare diverso: più aperto, meno egocentrico, sempre sicuro di se stesso. Forse è solo invecchiato, si è ammorbidito, a 71 anni, dopo 36 anni da allenatore.

Van Gaal è stato in cura per un cancro alla prostata, lo ha rivelato pubblicamente qualche mese fa. Il cancro aveva già colpito la prima moglie (poi deceduta), quasi 30 anni fa. Un dolore affrontato in un documentario, “Louis”, in cui Van Gaal ha confidato tutta la sofferenza, assieme alle sue due figlie.

Ha però continuato ad allenare durante le sedute di chemioterapia. Anche dalla sedie a rotelle, dopo una violenta caduta. Ha allenato con un catetere, con una sacca attaccata all’intestino durante le cure. Ha mostrato un tratto di umanità del tutto sconosciuto.

È cambiato in parte anche il suo modo di vedere il calcio. L’Olanda ora gioca difesa e contropiede, anche se ora va di moda scrivere e dire “ripartenze”. Nessuna traccia del calcio totale, che dai Paesi Bassi è poi arrivato in Europa. Sarebbe stata un’offesa per lui l’etichetta di “catenacciaro” negli anni Novanta. La panchina dell’Olanda è arrivata inaspettata. È al terzo giro (e ultimo, come ha già annunciato) su quella panca, quando ha chiamato la federcalcio olandese si trovava in Algarve, la parte meridionale del Portogallo, una meraviglia con vista sull’Atlantico. In quella lingua di terra si è piazzato anche Eric Cantona, che come Van Gaal si è dato al golf, una mania ormai per i calciatori.

Non è ancora amato proprio da tutti: Angel Di Maria, che se lo ritrova da avversario, ha ammesso che l’olandese sarebbe stato il peggiore allenatore della sua carriera, ai tempi dello United. Neppure con Van Dijk, la colonna difensiva dell’Olanda, si è preso subito, ma poi l’ha fatto capitano.

Van Gaal non è mai andato d’accordo con Johan Cruijff, diventando quindi una sorta di eretico per gran parte del calcio olandese e neppure Zlatan Ibrahimovic è stato mai assai prodigo di buone parole per il tecnico orange, definito “un asino pomposo” nella sua celebre biografia. Si è fatto qualche nemico anche alla Fifa, criticando apertamente la scelta di portare i Mondiali in Qatar. Che proverà a vincere, prima di tornarsene in Portogallo, a giocare a golf.