«Son tutte belle le mamme del mondo…» cantava Claudio Villa negli anni ’50 intendendo quanto l’essere madre fosse l’esperienza più bella e appagante per una donna, resa dolorosa solo dall’inevitabile distacco del figlio. Oggi, a quasi settant’anni, quel ritornello andrebbe inteso in tutt’altro modo, attribuendogli il significato di tutte le forme di maternità possibili, di genitorialità alternative e contemporanee, a volte irriverenti e fuori dagli schemi prestabiliti, comprese le scelte di non maternità. È sempre più evidente quanto in questi tempi il termine madre, e più in generale genitore, sia il risultato di un percorso più complesso e consapevole, fatto di nuovi modi di procreare e intendere il legame con il figlio. Un concetto che si va definendo giorno dopo giorno portando con sé questioni importanti quali il riconoscimento, la tutela dei diritti, l’aborto, la fecondazione assistita.

UN PERCORSO frutto anche dell’evoluzione e dell’emancipazione della donna che rivendica il diritto di essere padrona del suo corpo, nonostante senta ancora forti le pressioni sociali su tutta la sfera della riproduzione. Lola Arias, scrittrice, regista cinematografica e teatrale argentina, classe ‘76, ha investigato e fatto ricerca per oltre due anni su questo tema che apre accesi dibattiti in termini legali, culturali, religiosi. Lo ha fatto incontrando a Bologna giuristi, sociologi, antropologi, filosofi, esperti di fecondazione, medici, famiglie omogenitoriali e adottive, madri surrogate, cattoliche, attiviste femministe, non madri, migranti, per costruire lo spettacolo Lingua Madre, un’enciclopedia della riproduzione del XXI secolo, drammaturgia di Piersandra Di Matteo, prima produzione italiana dell’artista per ERT/ Teatro Nazionale, in scena a Bologna nell’ambito dei progetti Atlas of Transitions e Matria. Un teatro documentario, un lavoro fortemente politico per la narrazione della maternità fuori dai cliché, ma soprattutto per le esperienze di lotta ingaggiate dai protagonisti per ottenere diritti non ancora contemplati dalle leggi. Otto performer portano sul palco i loro vissuti, racconti intimi, personali, dolorosi.

UN NUOVO CONCETTO di famiglia è messo sotto la lente di ingrandimento, facendo emergere una società più avanti della politica, due realtà che procedono a velocità diverse. «Le storie raccontano anche le esperienze di coppie gay e lesbiche e di un uomo trans che rivendica il suo essere uomo e madre. Si parla di figli nati da madri surrogate negli Stati Uniti che la legge non considera ancora famiglie. In qualche modo è come se la legislazione spingesse le persone a prendere decisioni fuori dalla legge. Ci sono molte opzioni e queste famiglie sono già reali come i bambini già nati. Emerge con forza l’idea che madre sia la somma di desiderio, solidarietà e compromesso con la vita di un’altra persona. Mi commuove quanta solidarietà ci sia per rendere possibili questi vincoli, la famiglia si espande in società, avere figli diventa una forma di condivisione di più soggetti», dice Lola Arias. «Una delle protagoniste, Chiara, si prende cura del figlio di una cara amica che glielo ha affidato prima di morire, non si tratta di biologia, ma di solidarietà, amore e cura».

La regista Lola Arias

L’OPERA È FRUTTO delle lotte femministe per l’aborto degli anni ’70 in continuità con quelle in difesa della libertà di chi decide di interrompere la gravidanza contro i movimenti pro vita e l’obiezione di coscienza. Una lotta ancora attiva anche in Italia dove l’effettività della legge del ’78 è costantemente messa in discussione. «Ho voluto portare anche la scelta di Donatella che non sente il desiderio di essere madre per non entrare nel modello di famiglia, e della pressione sociale che subisce, come se una donna non fosse pienamente tale se e quando decide di non procreare. È ancora un tabù, una sorta di stigma sociale. Ascoltare e dare voce a tutte queste storie è già scriverne una nuova. Il lavoro mostra una moltiplicazione di relazioni fatta di genitori biologici, donatori, portatrici, che hanno un ruolo nella vita dei bambini. La maternità e la genitorialità non sono più il risultato di una famiglia etero e di un amore di coppia, o almeno non è più l’unica possibilità. Il bambino nasce dalla collaborazione di più soggetti. Tutto questo può far paura a molti, per me è liberatorio. Lingua Madre è nato in parte dal movimento femminista in Argentina e dalle battaglie contro il femminicidio e in favore dell’aborto», spiega Lola Arias, «la lotta per la legge è stata molto importante, dal 2015 è cominciata una grande mobilitazione. Si è creato uno spazio per parlare in termini politici di temi che si pensavano intimi. Desideravo parlare della maternità surrogata, la gestazione per altri, ed è stato complesso trovare una coppia gay che decidesse di farlo perché c’è molto timore, c’è una sorta di conflitto con lo Stato e la legge perché sono storie di famiglia non riconosciute e parlarne apertamente significa ammettere di essere fuori dalla legge e prendere un rischio non essendo protetti e tutelati».

«LINGUA MADRE» parla del nostro presente e ha un forte valore politico per il tentativo di mostrare punti di vista singolari utili per scardinare alcuni stereotipi. La Arias sarà presto a Madrid per incontrare i protagonisti delle nuove storie, poi a Berlino, e il desiderio è di portarlo anche nella sua Buenos Aires dopo la recente approvazione della legge sull’aborto. «Fare questo lavoro in diverse realtà dopo la pandemia significa uscire dalla logica di tournée per portare un concetto e calarlo in un contesto diverso. In ogni cultura la relazione fra le persone e la maternità cambia in base a differenze culturali e legislazioni. Nella stessa Europa, in merito a fecondazione assistita e aborto, sembra di attraversare una frontiera per arrivare a un’idea diversa di maternità. I bambini di cui si parla aspettano solo che il mondo sia pronto per loro».